Scheda: The Last Shadow Puppets

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Miles Kane e Alex Turner, le anime dei Last Shadow Puppets.

I Last Shadow Puppets sono il progetto secondario di Alex Turner (cantante degli Arctic Monkeys) e Miles Kane (prima nei Rascals, ora solista). I due amici hanno saputo creare un sound vintage molto distante dal rock praticato di solito, con chiari rimandi agli anni ’60-’70. Ma andiamo con ordine.

“The Age Of The Understatement”, 2008

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L’esordio dei LSP avviene a un anno dal secondo album degli Arctic Monkeys, l’ottimo “Favourite Worst Nightmare”. Kane è ancora semi-sconosciuto, ma si dimostra una ottima spalla per Turner, sia vocalmente che come chitarrista. Sono da ricordare in particolare le belle Standing Next To Me, The Chamber (con finale quasi ambient) e la title track. Album veloce ed efficace, molto stimato da pubblico e critica: Turner si confermò abilissimo compositore, Kane ottimo partner musicale. Insomma, un inatteso trionfo. Voto: 8.

“Everything You’ve Come To Expect”, 2016

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Il secondo album arriva ben otto anni dopo il brillante esordio, ma la qualità resta intatta. Sia Turner che Kane sono molto maturati: gli Arctic Monkeys sono tra le maggiori cinque rock band mondiali, Miles si è ritagliato una più che dignitosa carriera solista. Gli ingredienti per un album pretenzioso e mal riuscito c’erano tutti, invece “Everything You’ve Come To Expect” è un buonissimo lavoro. Il revival anni ’70 è sempre presente: pezzi come la title track ne sono esempio. Bella anche Aviation, ma colpiscono anche le tracce dove Turner canta quasi da crooner (ad esempio la conclusiva The Dream Synopsis). Insomma, altra dimostrazione che questi due, anche nel tempo libero, non sanno commettere errori nel produrre buona musica. Voto: 7,5.

Recap: maggio 2016

Maggio sarà ricordato come un mese davvero importante per la musica: dopo il magnifico “A Moon Shaped Pool” dei Radiohead, avevamo la tentazione di pensare che tutto sarebbe stato oscurato. Ebbene, non è così: i pregevoli lavori di James Blake, White Lung e il pur non riuscitissimo “VIEWS” di Drake sono qua a ricordarlo.

James Blake, “The Colour In Anything”

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James Blake ha voluto strafare: 17 canzoni per “The Colour In Anything”, suo terzo album dopo l’eponimo esordio (2011) e “Overgrown” (2013). Durata superiore ai 70 minuti, cura nei minimi dettagli di voci e orchestrazione: ecco le principali caratteristiche del CD. Il risultato, a ben pensarci, poteva essere anche migliore: alcune melodie sono leggermente sotto la media (per esempio la title track e la conclusiva Meet You In The Maze). In generale, Blake non è mai stato così ispirato: pezzi come Radio Silence, Timeless, Always e la strana Points sono belli come i migliori brani mai scritti dal giovane cantautore inglese. La voce poi è sempre ottima, così come l’intreccio fra post-dubstep, pop ed elettronica soft. Insomma, davvero un peccato: “The Colour In Anything” poteva essere il capolavoro di una carriera già pregevole, invece l’eccessiva lunghezza e le troppe canzoni rischiano di compromettere il risultato finale. Niente di cui disperarsi però: il percorso è quello giusto. Se James non vorrà strafare anche la prossima volta, ne sentiremo delle belle.

Voto finale: 7,5.

White Lung, “Paradise”

White Lung

I canadesi White Lung sono giunti al quarto album di inediti, ma l’energia del terzetto punk non accenna a venir meno. Con “Paradise” la spontaneità cerca di lasciare spazio a suoni più ricercati, quasi al pop-punk di Blink-182 e co. La principale caratteristica dei lavori dei White Lung è la loro incredibile capacità di convogliare messaggi universali in poche tracce di (massimo) tre minuti di lunghezza, molte sotto i due minuti. “Paradise” si avvicina ai 25 minuti, record per la band; ma i risultati sono sempre buoni. Pezzi come la iniziale Dead Weight, Below e Kiss Me When I Bleed sono grandi canzoni punk. Peccato che nel finale l’ispirazione non sia più così potente, ma il voto finale non può che essere positivo.

Voto finale: 7,5.

Drake, “VIEWS”

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Chi invece ha parzialmente deluso le aspettative degli amanti del rap è Drake. “VIEWS” è stato giustamente criticato da molte parti per la sua eccessiva lunghezza, sia in termini di canzoni (ben 20!) che di minutaggio (oltre gli 80 minuti!). Insomma, James Blake era così ispirato che possiamo passare sopra alla sua voglia di strafare; lo stesso non vale per Drake. Infatti “VIEWS” è senza dubbio il più debole fra i quattro album del rapper canadese: nessuna Over My Dead Body, Hold On, We’re Going Home o Marvin’s Room, tanto per capirci. Vocalmente, certo, i progressi continuano, così come nella varietà di generi affrontati; tuttavia, pezzi brutti come Hype, Controlla e Grammys sono inammissibili. Insomma, troppa trap music, troppo pop e poco soul/R&B, le cose che invece Drake sa fare meglio. Si salvano così giusto Pop Style (con Jay-Z e Kanye West), la hit One Dance e la super celebre Hotline Bling. Peccato: un passo falso ci sta, speriamo non si ripeta.

Voto finale: 6.

Radiohead, l’ennesimo capolavoro

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“A Moon Shaped Pool”, il nono album di inediti dei leggendari Radiohead, rappresenta un qualcosa di inatteso: il lavoro più personale e “umano” della band arriva proprio nel 2016, poco dopo che il cantante e leader Thom Yorke si è lasciato con la moglie, dopo 23 anni di relazione. I testi sono spesso personali, anche se non mancano in certi tratti alcuni connotati politici. Ma procediamo con calma.

“A Moon Shaped Pool” segue il misterioso “The King Of Limbs” (2011), in cui il gruppo britannico aveva aperto a influenze elettroniche e grime: i risultati erano stati incostanti, ma generalmente soddisfacenti (da sottolineare Lotus Flower e Separator). Cosa aspettarsi da “A Moon Shaped Pool”? Le alternative più probabili erano un’ulteriore divagazione elettronica, oppure un ritorno al rock delle origini: ebbene, il CD non è né uno né l’altro. Le 11 canzoni infatti aprono al folk (Desert Island Disk ne è esempio), ma mantengono solide radici nel pop-rock, con una forte presenza di archi e pianoforte.

A moon shaped pool

Pezzi efficaci non mancano: tra di essi Identikit (con un Jonni Greenwood tirato a lucido), la dolcissima Glass Eyes e la rockettara Ful Stop. I capolavori veri però sono tre: Burn The Witch, che nel testo sembra alludere al problema dell’immigrazione e alla xenofobia; Daydreaming, sublime ballata di sei minuti; e la struggente True Love Waits, incisa addirittura nel lontano 1995 ma solamente quest’anno messa definitivamente su disco. Le parole conclusive (“Don’t leave…”) fanno allusione sia alla conclusione dell’ascolto dell’album sia, probabilmente, alla fine della relazione di Yorke con la moglie.

Nota particolare per l’orchestrazione e la produzione, come sempre ottima, del fido Nigel Godrich: era da almeno 9 anni (da “In Rainbows”) che i due fratelli Greenwood non erano così fortemente parte del sound dei Radiohead. Jonni ha inoltre portato con sé la collaborazione con la London Philarmonic Orchestra, fondamentale in pezzi come Burn The Witch e The Numbers.

Insomma, per concludere: vi sono gruppi capaci di un solo capolavoro in carriera (Strokes e Bloc Party, per esempio); altri capaci di produrre due CD storici (Green Day e White Stripes); altri ancora che ne pubblicano ben tre (U2 e REM); oltre tre si contano davvero sulle dita di una mano. Abbiamo giusto Beatles, Rolling Stones e… Radiohead. “A Moon Shaped Pool” si colloca allo stesso, straordinario livello di “In Rainbows”, appena sotto i due pilastri della discografia rock moderna “OK Computer” (1998) e “Kid A” (2000). Ad ora, “A Moon Shaped Pool” è il più serio candidato alla palma di miglior album del 2016.

Voto finale: 9.

Beyoncé vs Rihanna: chi è la regina del pop?

Questo sembra essere sempre di più un anno fondamentale per la musica: dopo il ritorno di artisti come M83, Kanye West e Kendrick Lamar, il 2016 segna un passaggio importante anche per il pop. Sia Beyoncé che Rihanna, due delle più serie pretendenti al trono di regina del pop, hanno pubblicato nuovi LP: sia “Lemonade” che “ANTI” segnano tuttavia una svolta audace per entrambe. Chi ha fatto di meglio? Analizziamo i due lavori, evidenziando punti deboli e forti di entrambi.

“Lemonade”

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Partiamo dal nuovo CD di Beyoncé, che uscito solo da pochi giorni è già entrato in molte discussioni: molti lo hanno eletto uno degli album più importanti degli ultimi anni, altri (la netta minoranza) lo sminuiscono. Chi ha ragione? Senza dubbio “Lemonade”, sesto album della signora Carter, segna una svolta artistica netta nella sua produzione: se i primi suoi 5 lavori erano incentrati su un abile mix di pop, soul e R&B, con “Lemonade” i suoni si fanno decisamente più audaci.

Anche la lista degli ospiti è impressionante: contiamo tra gli altri Jack White, James Blake, Kendrick Lamar e The Weeknd; inoltre, i crediti vanno anche a Ezra Koenig dei Vampire Weekend e agli Animal Collective. Insomma, alcune delle migliori figure della musica leggera degli ultimi vent’anni. Brani riusciti, non a caso, non mancano: dopo la partenza soft con Pray You Catch Me, abbiamo subito due botte di adrenalina con le bellissime Hold Up e Don’t Hurt Yourself (il duetto con Jack White). Altri highlights sono Freedom, con Kendrick Lamar, e All Night; da non sottovalutare anche 6 Inch. Il solo brano scontato è Sandcastles; per il resto, possiamo serenamente candidare l’album alla top 5 del 2016.

Menzione particolare per i testi di “Lemonade”: Beyoncé potrebbe fare di più per la libertà femminile nella coppia e la parità di genere di mille manifesti femministi. Basta leggere le liriche di brani come Daddy Lessons, Sorry e Formation per capire l’importanza di questo CD anche nel prossimo futuro. P.S.: si vergogni Jay-Z, che con una Beyoncé in casa cerca avventure con altre donne.

Voto finale: 8,5.

“ANTI”     

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Rihanna, con “ANTI”, è già all’ottavo album di inediti: una carriera da veterana, che farebbe pensare che ormai il meglio dell’artista caraibica sia già stato espresso. Meglio che per alcuni coincide con “meno peggio”: in effetti, la Rihanna pop a volte diventa davvero pesante, fin troppo commerciale e “provocante”, per usare un eufemismo.

Perché allora dedicare una recensione ad “ANTI”? Perché Rihanna sembra essere definitivamente maturata: nessuna canzonetta (eccettuata la pessima Work con Drake) e anzi melodie molto più ricercate. Addirittura troviamo in “ANTI” una cover di New Person, Same Old Mistakes dei Tame Impala (con titolo Same Ol’ Mistakes), peraltro venuta bene.

In realtà brani solidi ne contiamo almeno altri due, vale a dire la iniziale Consideration e Kiss Better, entrambi molto R&B e più “cupi” della solita Rihanna. Insomma, la popstar caraibica è giunta ad un bivio nella sua carriera, finora molto redditizia ma musicalmente contrastata: continuare sulla scia di “ANTI”, con album molto meno commerciali ma più riusciti musicalmente, oppure tornare a sfornare hit come Umbrella e Diamonds, perdendo in qualità. Scelta non facile: noi speriamo vivamente che RiRi scelga la prima opzione.

Voto: 7,5.