
I quattro componenti dei Foals.
I Foals sono un quintetto britannico, uno dei gruppi più interessanti della scena rock britannica. Partiti da un “math rock” con intarsi pop/funk, hanno progressivamente virato verso un rock decisamente più duro ma contemporaneamente “da arene”, simile a Muse ed U2, una formula vincente e intrigante. Andiamo con ordine e analizziamo la loro carriera.
“Antidotes”, 2008
L’esordio dei Foals è davvero strano (tanto che gli stessi Foals hanno parlato di un genere “tropical-prog” per le loro canzoni): se inizialmente può risultare superficiale, approfondendo l’ascolto le cose migliorano e anche la voce monocorde del cantante Yannis Philippakis assume una sua funzione. Niente di che, ma alcune buone canzoni ci sono: in particolare ricordiamo la brillante Cassius e le ammalianti Olympic Airways ed Electric Bloom. Esemplifica il mood del disco la lunga e ambiziosa Big Big Love (Fig.2): tanta attesa per un riff assassino che non arriva mai. Insomma, il talento c’è, ma i risultati sono appena discreti. Voto: 7.
“Total Life Forever”, 2010
“Antidotes” era stato ricevuto benino dalla critica, ma al pubblico era passato pressoché inosservato. I Foals cercarono dunque di essere più ambiziosi nei suoni e di trovare una loro nicchia nello sconfinato e competitivo mondo dell’indie rock. “Total Life Forever” rappresenta un gigantesco passo avanti rispetto all’esordio: le canzoni si fanno più sofisticate e ardite, Philippakis migliora nella parte canora e la base ritmica si rafforza. Sono molto belle This Orient, la potente After Glow e la lunga Black Gold; non male anche la iniziale Blue Blood. Menzione speciale per la magnifica Spanish Sahara, ballata di oltre sei minuti davvero trascinante. Insomma, i Foals hanno ormai acquisito lo status di potenziali headliner dei più importanti festival musicali europei. Voto: 8.
“Holy Fire”, 2013
Tutti attendevano al varco i Foals: la tensione rischiava di divorarli. Invece, i cinque ragazzi se ne uscirono con un album ancora più bello di “Total Life Forever”, svoltando verso un rock più carico, quasi hard rock in certi tratti. Ne sono simboli due delle canzoni migliori del CD: Prelude e Inhaler (quest’ultima trascinante nel ritornello) sono come gemelli siamesi, una senza l’altra non esisterebbe, ma proprio per questo acquistano fascino. Non male il funk à la Hot Chip di My Number, così come il quasi shoegaze della conclusiva Moon. Insomma, un lavoro vario e ben riuscito, che conferma il talento dei Foals e il loro appeal sul pubblico. Uno dei migliori album dell’anno. Voto: 8,5.
“What Went Down”, 2015
Il piano originario dei Foals, dopo il grande successo e il lungo tour seguito a “Holy Fire”, era di fermarsi per un po’. In realtà, l’ispirazione non era ancora terminata e decisero quindi di pubblicare il loro quarto lavoro di studio, il bel “What Went Down”. Non bisogna infatti pensare che sia un LP tirato via o poco curato; al contrario, la coesione e precisione dell’album sono ammirevoli. Anche la voce di Philippakis migliora, diventando sempre più importante per l’espressività delle melodie dei Foals. Inoltre, finalmente la band non concentra i brani migliori nella prima metà, cercando invece di essere più equilibrata, cosa non da poco. I pezzi migliori sono la potentissima title track (parente di Inhaler), la bella Mountain At My Gates e le più romantiche Birch Tree e Give It All. Ottima anche Night Swimmers. “What Went Down” sembra chiudere la prima parte della carriera dei Foals: il loro stile, un mix di funk, indie e hard rock, sembra aver dato il meglio di sé. Cosa ci attende? Nessuno può dirlo, ma la fiducia accumulata nei cinque ragazzi inglesi è immensa. Voto: 8