“Pet Sounds”, il CD che cambiò la storia del pop

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Una foto che ritrae i Beach Boys nel 1966, anno della pubblicazione di “Pet Sounds”.

Il 1966 è un anno fondamentale per la musica leggera: accanto al leggendario “Revolver” dei Beatles, in America i Beach Boys davano alle stampe uno dei CD più influenti dell’intera storia della musica: quel “Pet Sounds” che farà da apripista a band del calibro di Pulp e Blur, oltre alla produzione più barocca di Arcade Fire e Sufjan Stevens.

All’epoca, i Beach Boys erano apprezzati dal pubblico soprattutto per “canzonette” come Surfin’ USA e Barbara Ann, perfetti brani pop ma, insomma, un po’ leggerini, sia per la parte puramente musicale che per le tematiche trattate nei testi. Ebbene, con “Pet Sounds”, undicesimo album del complesso californiano, la storia cambia radicalmente.

All’interno dei Beach Boys c’era incertezza su come affrontare la concorrenza delle band più giovani nel genere che li aveva caratterizzati fino a quel momento, quel “surf-pop” che aveva fatto le fortune dei BB: Brian Wilson, leader e mente del gruppo, propendeva per un radicale cambiamento del sound, mentre Mike Love, che rappresentava la parte più conservatrice dei Beach Boys, era contrario. “Pet Sounds” non per nulla è ritenuto da alcuni quasi un lavoro solista di Wilson, che registrò tutte le canzoni e scrisse tutte le liriche da solo per poi passarle agli altri membri della band. Non è un caso che molte canzoni hanno carattere introspettivo, affrontando temi come la fiducia degli altri verso di noi, la fede, la soddisfazione personale e amorosa e così via. Anche la copertina del CD denota un forte cambiamento: mentre prima le covers degli album dei Beach Boys avevano sempre ritratto i cinque membri in atmosfere estive e felici, adesso vediamo una foto di un tipico paesaggio autunnale con addirittura degli animali rappresentati, che richiamano il titolo dell’LP.

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La copertina di “Pet Sounds”.

Musicalmente parlando, “Pet Sounds” rappresenta il progetto più ambizioso mai tentato dai Beach Boys e, in generale, dai musicisti fino a quell’anno: solo “Sgt Pepper’s Lonely Heart Club Band” (1967) dei Beatles saprà arrivare a questi, altissimi, livelli. Wilson, infatti, scatena la propria vena più artistica e barocca, introducendo nel sound semplice e allegro della band complicati arpeggi, strumenti come violini e trombe e creando bellissimi vocalizzi a cui avrebbero partecipato anche gli altri membri del gruppo. I risultati sono straordinari: l’iniziale Wouldn’t It Be Nice ricorda le antiche sonorità “beachboysiane”, ma già da You Still Believe In Me comprendiamo la fortissima cesura col passato orchestrata da Brian Wilson & co. Nessuno dei tredici pezzi di “Pet Sounds” può essere considerato un riempitivo, nemmeno i brevi intermezzi musicali. Altri capolavori sono la rockettara Sloop John B e la conclusiva Caroline, No; ma è il risultato generale che stupisce per coesione sonora e tematica, tanto che alcuni hanno definito “Pet Sounds” il primo concept-album vero e proprio nella storia della musica.

I riconoscimenti si sono sprecati nel corso degli anni successivi per questo magnifico CD: molte riviste musicali lo hanno inserito tra i migliori degli anni ’60 e addirittura della storia del pop, ma tutti sono concordi nel definire “Pet Sounds” uno dei lavori più significativi per le generazioni di musicisti successive. Non a caso, ancora oggi i fans della band californiana sono numerosissimi e, tranne coloro che si fermano all’ascolto superficiale delle “canzonette” di cui parlavamo all’inizio, tutti amano “Pet Sounds”, a tutti gli effetti il capolavoro della carriera dei Beach Boys.

Voto finale: 10.