Dopo un marzo pieno di grandi uscite, uno poteva aspettarsi un aprile tranquillo. Invece, anche il mese appena concluso ha visto importanti artisti tornare a calcare il palcoscenico; in particolare, abbiamo il terzo CD di Father John Misty; il quinto album del grandissimo Kendrick Lamar; il nuovo lavoro di Arca. Tre LP eccellenti, tutti serissimi candidati al podio dei migliori del 2017.
Kendrick Lamar, “DAMN.”
Il nuovo CD del miglior rapper in circolazione? Non poteva che essere un evento. Tuttavia, Kendrick ha mantenuto a lungo la più assoluta segretezza riguardo a “DAMN.”, almeno fino all’uscita della canzone The Heart Part.4: K-Dot infatti invitava i suoi fan ad aspettare il 7 aprile per avere novità su nuova musica in uscita a suo nome. Detto, fatto: il 7 aprile usciva HUMBLE. e veniva annunciata l’uscita di “DAMN.”, quinto LP di Kendrick Lamar, in data 14 aprile.
Non solo: venivano anche resi noti gli ospiti presenti nel CD. Accanto a nomi meno noti come Zacari, abbiamo due pezzi da 90 della musica come Rihanna e U2. Come si sarebbero integrati il pop da classifica e il rock da stadio nel flusso ininterrotto che è il rap di Kendrick? Ebbene, i risultati sono stupefacenti: ancora una volta, Lamar conferma lo status di rapper più importante della sua generazione e portavoce di un’intera popolazione di giovani neri americani.
I risultati forse non raggiungono i risultati eccellenti di “Good Kid, M.A.A.D. City” (2012) e “To Pimp A Butterfly” (2015), considerati giustamente tra gli album hip hop più importanti del nuovo millennio. Non a caso, questo “DAMN.” non ha un unico tema che lega fra loro le canzoni, come invece accadeva nei due LP citati prima, dove Kendrick parlava della vita per un giovane di colore nella sua città natale (Compton) e del razzismo strisciante negli Stati Uniti. Adesso K-Dot si concentra solamente sulle basi e sull’ulteriore esplorazione di nuovi territori musicali, dal soul all’elettronica.
Musicalmente parlando, la prima parte di “DAMN.” è pressoché perfetta: sia BLOOD. che DNA. sottolineano ulteriormente che questo CD lotterà (almeno) per la top 10 dei più belli del 2017. Anche le collaborazioni con Rihanna e U2, rispettivamente LOYALTY. e XXX., sono riuscite; in particolare, quest’ultima colpisce positivamente. L’ultima canzone della tracklist, DUCKWORTH., è un’ideale chiusura del cerchio: Kendrick ritorna alla figura della vecchia cieca che, in BLOOD., lo uccideva. Poco prima dello sparo che chiudeva la prima canzone, però, si sentono dei suoni: essi rappresentano probabilmente la vita del personaggio della canzone, tanto che poi DUCKWORTH. si chiude con la ripresa proprio di BLOOD.
K-Dot vorrà dire che la vita è ciclica e che quindi ciò che muore è destinato a rinascere? Questo è senza dubbio un tema dominante: accanto ad esso, “DAMN.” tratta anche la critica dei media (in DNA. viene inserito un estratto di una trasmissione della Fox News americana, dove il presentatore Geraldo Rivela afferma che il rap ha fatto più danni agli afroamericani del razzismo), fede, paura, amore e orgoglio (molti sono anche titoli di canzoni del disco, non per caso).
I versi migliori del disco? Sono contenuti in LOYALTY. (“Tell me who you loyal to. Is it money? Is it fame? Is it weed? Is it drink?”), PRIDE. (“Love’s gonna get you killed, but pride’s gonna be the death of you and you and me”, forse riferito agli episodi di razzismo e uccisioni di giovani neri ad opera delle forze dell’ordine) e LOVE. (“If I minimize my net worth, would you still love me?”).
In conclusione, “DAMN.” si aggiunge alla già eccezionale produzione di Kendrick come il lavoro più coeso e meno caotico: pur mancando un tema dominante, la qualità delle basi e degli ospiti contribuisce a fare del CD un serissimo candidato alla palma di miglior album hip hop dell’anno.
Voto finale: 8,5.
Father John Misty, “Pure Comedy”
Il terzo LP solista di Joshua Tillman, in arte Father John Misty, era molto atteso: dopo un eccellente secondo lavoro come “I Love You, Honeybear” (2015) e l’abilità mostrata, sia nelle interviste rilasciate che sui social, di cogliere come pochi lo spirito dei tempi, eravamo tutti curiosi di vedere cosa mai avrebbe dissacrato in questo “Pure Comedy”. Ebbene, i risultati sono clamorosi, per molti versi nel bene ed altri nel male: quasi 75 minuti di durata, 13 canzoni di cui una di 13 minuti (!) e una ironia molto amara riguardo ai tempi, politici e non, dove siamo immersi.
Musicalmente parlando, “Pure Comedy” amplia i generi affrontati da Tillman: accanto al folk delle origini (è stato batterista dei Fleet Foxes fino al 2012), adesso abbiamo un rock molto denso e raffinato, a tratti orchestrale nella sua magniloquenza. I risultati, quando tutto gira per il meglio, sono ottimi: ne sono prova Pure Comedy e Total Entertainment Forever, le due tracce iniziali del disco. Altrove, nondimeno, la combinazione risulta eccessivamente monotona: in particolare ciò accade nella parte centrale del lavoro, fin troppo adagiata in un plateau sonoro fatto di rock acustico e molto simile fra un brano e l’altro. Emblema di tutto ciò è l’interminabile Leaving LA, 13 minuti davvero lunghi e difficili da apprezzare.
La situazione si risolleva nella brillante parte finale, dove pure Tillman torna a fare quello che lo ha reso così amato dal pubblico: non concentrarsi su sé stesso, quanto dare uno sguardo disincantato sul mondo, aiutato da un folk-rock con intarsi elettronici davvero ammaliante. I migliori brani sono proprio le ultime due canzoni della tracklist, So I’m Growing Old On Magic Mountain e In Twenty Years Or So.
Liricamente, come sempre in un album di Father John Misty, gli spunti di riflessione non mancano: da un riferimento agli Oculus Rift in rima con Taylor Swift (potete immaginare in che contesto) alla religione (“They get terribly upset when you question their sacred texts, written by woman-hating epilectics”), da una critica alla tecnologia (“There are some visionaries among us developing some products to aid us in our struggle to survive, on this godless rock that refuses to die”) a della sana e onesta autoironia (“So I never learned to play the lead guitar. I always more preferred the speaking parts”).
Insomma, un lavoro non semplice, sia musicalmente che per i contenuti affrontati. Tuttavia, se affrontato nella giusta prospettiva e colto appieno, “Pure Comedy” si staglia come un ottimo CD di musica rock impegnata; e dimostra un coraggio non comune da parte di Joshua Tillman, che affronta temi delicati in maniera sempre pungente e intelligente. Non un capolavoro, ma qualcosa di molto simile sì.
Voto finale: 8,5.
Arca, “Arca”
Il terzo album del musicista venezuelano Alejandro Ghersi, meglio noto come Arca, è il suo CD più intimo e personale. Innanzitutto, in “Arca” Ghersi per la prima volta canta nella sua lingua d’origine, lo spagnolo: ciò, apparentemente, al fine di svelarci di più sulla sua idea di amore e di sessualità. Entrambi questi temi sono sempre stati al centro della sua produzione e l’ambiguità mantenuta al riguardo era uno degli enigmi maggiori riguardo ad Arca, come uomo e come musicista.
Musicalmente parlando, “Arca” mantiene l’intelaiatura dei suoi precedenti lavori, rispettivamente “Xen” (2014) e “Mutant” (2015): vale a dire una musica ambient molto ricercata, a tratti criptica e in altri più sinuosa e accattivante. Rispetto ai due predecessori, tuttavia, questo album dà più attenzione alla parte melodica, quasi pop, dell’estetica di Arca: ne sono esempi i due magnifici brani iniziali, Piel e Anoche. La parte centrale contiene le tracce più sperimentali, come Reverie e Castration. Altro pezzo da ricordare è Coraje, dalla delicata melodia davvero delicata; meno riuscita è Whip, troppo chiassosa. La costruzione del CD si rivela comunque straordinaria: la parte conclusiva ritorna alle sonorità minimali e commoventi dell’inizio, sottolineate dal canto fragile di Ghersi: ne sono esempi perfetti Miel e Fugaces.
In generale, colpisce la continua evoluzione di questo talentuoso artista, capace di produrre canzoni per pezzi da 90 come Kanye, FKA Twigs e Bjork, e contemporaneamente mantenere una feconda attività di cantante solista, peraltro di buonissima qualità. Questo “Arca” è il culmine di tutto ciò, un lavoro insieme misterioso e pop, difficile e fragile: insomma, uno dei migliori CD di musica elettronica degli ultimi anni, non molto lontano da “In Colour” di Jamie xx e “Hopelessness” di Anohni.
Voto finale: 8,5.