Riecco i Gorillaz, più umani che mai

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Ci siamo: 7 anni dopo l’ultimo CD di inediti, il misterioso “The Fall”, Damon Albarn e Jamie Hewlett hanno resuscitato i Gorillaz. Giunta al quinto album, la band virtuale più famosa del mondo ha deciso di fare le cose in grande: ancora più varietà nella moltitudine di generi affrontati e una lista di ospiti spropositata. Una cosa è certa: questo “Humanz” è il CD più black della produzione dei Gorillaz; e anche il più politico.

Iniziamo la nostra analisi dalla parte prettamente strutturale: “Humanz” conta 20 canzoni, con una intro e 5 intermezzi. Si potrebbe pensare che l’insieme sia eccessivamente frammentato, ma non è così: Albarn aveva dichiarato che, in sede di scrittura dei pezzi, voleva comporre una playlist per la fine del mondo, che lui immaginava coincidere con l’elezione di Donald Trump. Cosa poi realmente avvenuta: il valore profetico dell’album è dunque indiscutibile. Ma i risultati sono all’altezza di questo ambizioso obiettivo? In generale sì: non sarà certo il miglior LP dei Gorillaz (“Demon Days” è irraggiungibile), ma anche “Humanz” ha molti pregi.

Il primo attributo del CD che salta all’occhio è la quantità di ospiti presenti: Vince Staples, Danny Brown, De La Soul tra gli esponenti più illustri della black music contemporanea; Noel Gallagher e Jenny Beth delle Savages per il rock. Ma non vanno trascurati Benjamin Clementine, Mavis Staples, Kelela… Insomma, ce n’è per tutti i gusti. In particolare, come già detto, questo CD sembra quasi un tributo alla musica nera: sono presenti forte influenze di hip hop, soul, funk e R&B. Gli episodi elettronici che caratterizzavano i precedenti lavori sono ridotti all’osso, così come i pezzi rock: un implicito segnale politico, in un periodo segnato dalle tensioni razziali, appare evidente in questa scelta stilistica.

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Ma è tempo di parlare delle canzoni di “Humanz”: a colpire positivamente è soprattutto la prima parte dell’album, in cui troviamo gli highlights del lavoro. Menzione in particolare per Ascension, Saturnz Barz e Andromeda, che vantano le collaborazioni rispettivamente di Vince Staples, Popcaan e D.R.A.M.; deludono un po’ invece Momentz (con i De La Soul) e Strobelite. Nella seconda parte, apprezzabile è Busted And Blue, tra i pochi brani in cui Albarn canta da solo, e la conclusiva We Got The Power, cantata con Noel Gallagher e Jenny Beth, senza dubbio il pezzo più adrenalinico del CD. Peccato per She’s My Collar, che abbassa la qualità media dell’album.

Dicevamo che questo è il lavoro più politico dei Gorillaz: ciò è evidente soprattutto in Hallelujah Money, in cui il giovane artista inglese Benjamin Clementine inneggia, come un santone, all’accumulazione del denaro come unica fonte di felicità. Un riferimento al neo-presidente americano sembra netto. Insomma, la critica di Albarn al materialismo rappresentato da Trump si sostanzia perfettamente in “Humanz”, forse il CD maggiormente “impegnato” della sua carriera.

In conclusione, dato per scontato il successo che bacerà il CD, noi non possiamo che apprezzarne la vena istrionica ma allo stesso tempo profondamente immersa nella realtà: saranno anche virtuali, ma un LP così “umano” come questo non è comune. Ecco, possiamo concludere così: per la prima volta nella loro carriera, i Gorillaz ci appaiono davvero umani. Bentornati.

Voto finale: 7,5.

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