Recap: gennaio 2018

Il tempo per metabolizzare i migliori album del 2017 è terminato: il 2018 è già iniziato e alcuni importanti artisti hanno già pubblicato dischi molto interessanti. Ad A-Rock ci soffermiamo su tre in particolare: Jeff Rosenstock, Ty Segall e Panda Bear.

Jeff Rosenstock, “POST-”

post

L’artista punk Jeff Rosenstock è al terzo album solista, dopo una carriera molto lunga in alcune band underground statunitensi. I suoi primi due CD, “We Cool?” (2015) e “WORRY.” (2016) erano indizi di quello che sarebbe stato “POST-”, tuttavia non erano riusciti come quest’ultimo lavoro.

Il disco mescola infatti molto abilmente punk, power pop e dream pop (!), creando una miscela esplosiva di Cloud Nothings e Beach House, cosa che può apparire strana, ma in realtà rende il CD davvero imperdibile.

L’inizio è fulminante. USA è un pezzo punk di notevole caratura, lungo e complesso (supera i 7 minuti), ma mai prevedibile o noioso: partenza punk, parte centrale pop e finale trascinante. Va detto che Rosenstock è molto astuto: concentra i brani migliori all’inizio e alla fine del disco. Non per caso, infatti, la conclusiva Let Them Win è bellissima: 11 minuti di invettive contro Trump e i suoi seguaci, a testimoniare l’importanza anche politica dell’album, sopra una base ritmica davvero potente. Il finale con tastiere sognanti è, infine, una degna conclusione per questo fantastico LP.

Molti titoli e testi richiamano l’attualità politica americana: abbiamo per esempio Powerlessness, Beating My Head Against A Wall e TV Stars. Musicalmente, come già detto, il disco alterna brani punk (come la già citata Powerlessness e Yr Throat) ad altri più melodici (ad esempio TV Stars e 9/10), ma l’insieme è abbastanza coerente.

In conclusione, “POST-” è uno dei primi grandi CD del 2018, già candidato ad entrare nella top 20 dell’anno. Quel che è certo è che il punk ha ancora molto da dire, soprattutto in tempi incerti come questi: Jeff Rosenstock ce lo ha ricordato.

Voto finale: 8.

Ty Segall, “Freedom’s Goblin”

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L’iperattivo Ty Segall, ragazzo prodigio del rock statunitense, è al decimo album di inediti a suo nome: un traguardo incredibile, considerato che Ty ha soli 31 anni e ha realizzato anche numerosi album collaborativi, greatest hits e CD live. Insomma, un artista davvero instancabile! Ciò, tuttavia, non ha influenzato la qualità dei suoi lavori: LP come “Slaughterhouse” (2012) o l’omonimo “Ty Segall” (2017) sono davvero notevoli.

Questo “Freedom’s Goblin”, il più lungo disco a firma Ty Segall in termini di canzoni e durata (19 pezzi per 72 minuti), è forse anche il suo lavoro più ambizioso; possiamo anzi dire che rappresenta un riassunto di tutto quello che musicalmente Ty ha passato negli ultimi dieci anni. Abbiamo pezzi hard rock (la bellissima Ever1’s A Winner e When Mommy Kills You), altri melodici (Rain e You Say All The Nice Things), alcuni quasi sperimentali (ad esempio Despoiler Of Cadaver, quasi elettronica, e Alta, aperta dal suono di un organo, strumento inusuale per l’artista californiano). Da sottolineare le lunghe She e And, Goodnight, due suite rock che mettono in mostra il talento di Ty, soprattutto come chitarrista. Ty potrebbe davvero essere il Jack White degli anni ’10. In generale, l’eccessivo numero di canzoni può rendere frammentario il disco, specialmente nella parte finale, ma i risultati sono generalmente ottimi.

Ty Segall sembra dunque aver trovato la definitiva maturità, a cavallo fra White Stripes e Led Zeppelin, con inserti melodici che quasi ricordano i Beatles (sentirsi My Lady’s On Fire e Cry Cry Cry per conferma). Il capolavoro definitivo sembra dietro l’angolo: forse una minore iperattività gli consentirebbe di focalizzarsi totalmente su un progetto e tirarne fuori il meglio. Detto questo, averne di artisti capaci di sfornare ogni anno un LP di livello così alto.

Voto finale: 8.

Panda Bear, “A Day With The Homies”

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Il nuovo EP a firma Noah Lennox, aka Panda Bear, è un insieme abbastanza riuscito di molte delle sonorità da lui sperimentate negli ultimi anni, sia nella carriera solista che negli Animal Collective. Troviamo infatti sia elettronica che psichedelia, con la caratteristica irriverenza di Noah. Tuttavia, i testi sono più pessimisti del solito: troviamo riferimenti a corde che stringono il collo, addii non voluti agli amici di un tempo… insomma, se per esempio in “Merryweather Post Pavilion” (2009) gli Animal Collective parlavano maggiormente di tematiche familiari, adesso Lennox si riferisce a situazioni in generale drammatiche, quasi angoscianti.

Musicalmente parlando, “A Day With The Homies” sembra un progetto che avrebbe potuto svilupparsi in un album vero e proprio: abbiamo difatti brani riusciti ed eclettici, nessuno dei quali fuori luogo. Molto interessante la sperimentale Part Of The Math, quasi shoegaze nella prima parte; carina l’iniziale Flight. La vera chicca è però Nod To The Folks, che sembra quasi un brano di Jamie xx o Caribou. Vediamo che sia i titoli delle canzoni che dell’EP fanno riferimento ad abbandoni, subiti più che imposti: che vi siano riferimenti alla vita privata di Panda Bear? Nessuno può saperlo, sta di fatto che però, liricamente parlando, “A Day With The Homies” è il lavoro più triste mai composto da Panda Bear.

La qualità è comunque più che buona e ci fa sperare che il meglio debba ancora venire per Noah Lennox, uno degli autori più creativi e che più hanno influenzato la scena indie degli ultimi 15 anni.

Voto finale: 7.

Rising: Shame

Shame

Ritorna la rubrica di A-Rock che si occupa degli artisti emergenti della scena musicale: quest’oggi ci concentriamo sugli Shame, un giovane gruppo inglese che suona un punk aggressivo ed efficace come raramente si era sentito negli ultimi anni.

Shame, “Songs Of Praise”

songs of praise

Il quintetto inglese potrebbe essere il nuovo volto del punk europeo: era da moltissimo tempo che non si sentiva un esordio così carico e compatto nel mondo punk, specialmente nel Vecchio Continente. In particolare, a colpire è la fiducia che gli Shame hanno nei loro mezzi: non c’è alcuna paura nel cambiare ritmo improvvisamente in una canzone, tantomeno nel corso del CD. Ne sono esempio Dust On Trial e Tasteless.

La voce di Charlie Steen, leader del gruppo, ricorda molto Archy Marshall: è come se King Krule desse libero sfogo alla sua vena rock, cercando contemporaneamente di imitare i Cloud Nothings o i Preoccupations. Da sottolineare poi il lavoro dei due chitarristi degli Shame, Eddie Green e Sean Coyle-Smith, che creano un “muro sonoro” davvero impenetrabile. I brani migliori sono Concrete, la più melodica One Rizla e la conclusiva Angie, che solo nel titolo ricorda il brano dei Rolling Stones. Donk, troppo breve, è il solo momento sotto la media, ma non rovina l’eccellente CD degli Shame. Anzi, l’insieme è un LP compatto e coerente, con pochissime pause per l’ascoltatore, come i migliori album punk.

Possiamo dire che il 2018 è partito splendidamente per il punk: sia gli Shame che Jeff Rosenstock, in questo meraviglioso mese di gennaio, hanno pubblicato dischi rilevanti, sia come canzoni che come testi. Non ci poteva essere inizio migliore per questo 2018. In effetti, anche “Songs Of Praise” affronta tematiche rilevanti, come la violenza sulle donne o il menefreghismo dell’Occidente per le sorti della parte più povera del pianeta, senza perdonare nulla, neanche a coloro che solo a parole supportano delle cause giuste: del resto, si chiedono Steen e compagni, se noi per primi non facciamo niente, come possiamo sperare che il mondo migliori?

Per concludere, un’ultima lode agli Shame: neanche Savages e White Lung, per citare due band punk molto rinomate di recente, avevano pubblicato esordi devastanti come “Songs Of Praise”. Abbiamo già un candidato alla top 10 dei migliori album dell’anno, poco da fare. Non resta che seguire l’evoluzione del complesso britannico: le premesse per un’ottima carriera ci sono tutte.

Voto finale: 8,5.

Gli album più attesi del 2018

Il 2018 si annuncia come un anno molto importante per la musica. Molti artisti sono attesi al varco, dopo album riusciti oppure dopo dei fiaschi, per capire se davvero le speranze che avevamo riposto in loro erano meritate o meno.

Se nel 2017 avevamo messo al primo posto fra gli album più attesi quello di Liam Gallagher, poi inserito nella lista dei 50 migliori dell’anno, quest’anno non possiamo che partire dagli Arctic Monkeys. Uno dei gruppi rock più famosi al momento, l’attesa per il loro ritorno, cinque anni dopo “AM”, è spasmodica: le scimmie artiche ci stupiranno ancora, cambiando nuovamente il loro sound, oppure si rifugeranno in territori già conosciuti? Conoscendo Alex Turner e compagni, la seconda alternativa ci pare poco plausibile; considerate poi le numerose collaborazioni che i membri della band hanno avuto negli ultimi cinque anni (Iggy Pop, Queens Of The Stone Age, Last Shadow Puppets), la possibilità di una svolta verso l’hard rock, già intravista in “AM”, è ipotizzabile.

Il mondo del rock, d’altra parte, non dipenderà nel 2018 solo dagli Arctic Monkeys: un altro gruppo che manca dal 2013 sono i Vampire Weekend. Dopo l’addio di Rostam Batmanglij, multistrumentista e creatore di molti dei maggiori successi della band, come cambierà il suono di Ezra Koenig & co.? Replicare la bellezza di “Modern Vampires Of The City” si rivelerà un’impresa troppo ardua?

Tra i gruppi rock più “stagionati”, importanti conferme sono attese da Franz Ferdinand ed Interpol. Mentre la band scozzese capitanata da Alex Kapranos sembra aver virato verso lidi elettronici, dopo l’addio del bassista Nick McCarthy, poco si sa ancora del nuovo lavoro degli Interpol, il primo dopo “El Pintor” (2014). Inoltre, i My Bloody Valentine, padri dello shoegaze, realizzeranno un nuovo album nel 2018, come confermato dal frontman Kevin Shields, cinque anni dopo il riuscito “m b v”: non poteva esserci notizia migliore per gli amanti del rock alternativo. Non ci scordiamo poi del grande Jack White, il cui terzo album solista promette di rinverdire i fasti del rock à la Led Zeppelin, come del resto ci aspettiamo da un ottimo chitarrista come lui. Sono infine attesi anche i Muse, tre anni dopo il deludente “Drones”: i tempi gloriosi di hit come Sing For Absolution e Starlight torneranno mai?

Fra i cantanti emergenti del mondo rock, meritano una citazione Courtney Barnett e Car Seat Headrest: entrambi vengono da ottimi album solisti, rispettivamente “Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit” di Courtney e “Teens Of Denial” di Toledo e compagni. In più, l’australiana l’anno scorso ha pubblicato un interessante album con l’amico Kurt Vile, “Lotta Sea Lice”. Per entrambi il momento della verità si avvicina: saranno solo meteore oppure il loro talento sboccerà definitivamente?

Passando alla musica elettronica, Damon Albarn sembra avere in cantiere un nuovo album dei Gorillaz, solo pochi mesi dopo “Humanz”: sarà all’altezza di un capolavoro come “Demon Days”? Inoltre, Damon vuole resuscitare anche il suo terzo progetto alternativo ai Blur, i The Good, The Bad & The Queen: si prospetta un anno impegnativo per lui. In più, Grimes sembra pronta a pubblicare un nuovo LP dopo il bel “Art Angels” (2015). Infine, il nuovo EP di Panda Bear, aka Noah Lennox, è previsto in uscita il 12 gennaio.

Per gli amanti del rap, il 2018 si annuncia un anno caldissimo: Drake non sta mai fermo, ormai lo conosciamo, dunque un suo CD nel 2018 non sarebbe del tutto fuori luogo. Invece, Kanye West, dopo la crisi nervosa dell’anno passato e le tensioni con la moglie Kim Kardashian, sembra pronto a tornare: dopo il controverso “The Life Of Pablo” (2016) Kanye pubblicherà un capolavoro degno della sua fama? Altri LP molto attesi sono i nuovi lavori di Danny Brown e Blood Orange: entrambi sono ormai nomi affermati nel panorama musicale contemporaneo, ma per la definitiva consacrazione occorre un ultimo step. Infine, molto ci aspettiamo da Frank Ocean: dopo la serie di singoli usciti nel 2017, un suo disco sembra prossimo all’uscita. Dal talentuoso musicista americano pretendiamo almeno un lavoro all’altezza di “Blonde” (2016): il fulminante “Channel Orange” del 2012 è migliorabile?

Concludiamo la nostra carrellata con uno sguardo al pop: già sono state annunciate le uscite di Justin Timberlake e Sky Ferreira. Per quanto lontani possano apparire, entrambi appartengono all’universo pop. Anche i The 1975 e FKA Twigs, dopo il grande successo dei precedenti LP “I Like It When You Sleep, For You Are So Beautiful Yet So Unaware Of It” e “LP2”, sono attesi ad una conferma. Infine, Lady Gaga, dopo l’acustico “Joanne” (2016), pare voler tornare a ritmiche più sbarazzine ed in linea con i suoi precedenti lavori.

Insomma, il 2018 si prospetta molto stimolante: speriamo che una larga parte di questi cantanti mantenga le aspettative e che molti nuovi talenti emergano nella musica moderna. Buon 2018 a tutti!