È già tempo di recap ad A-Rock. Gennaio è stato un mese molto interessante per la musica, caratterizzato dai nuovi lavori di artisti del calibro di Deerhunter, James Blake, Sharon Van Etten e Charlotte Gainsbourg.
Deerhunter, “Why Hasn’t Everything Already Disappeared?”
Giunti ad un punto ormai dove molte band loro coetanee si sono già sciolte (i Walkmen, ad esempio) oppure vivacchiano con tentativi di reinventarsi più o meno riusciti (si vedano Bloc Party e Strokes), i Deerhunter si sono guadagnati un posto apprezzabile nel pantheon delle band indie rock. Sempre pronti a esplorare nuovi territori, capitanati dall’indomito Bradford Cox, i Deerhunter hanno saputo entrare nel cuore dei fans grazie a lavori superlativi come “Microcastle” (2008) ed “Halcyon Digest” (2010).
Il precedente lavoro “Fading Frontier” del 2015 aveva fatto intravedere il lato più dream pop del gruppo. Parlando della “nuova vita” capitatagli dopo il terribile incidente d’auto dell’anno prima che lo aveva quasi ucciso, Cox aveva trovato anche il modo di affrontare temi a lui molto cari: la discriminazione per le persone omosessuali, la solitudine… il tutto però con melodie più dolci del 95% delle canzoni precedenti dei Deerhunter.
Il nuovo lavoro “Why Hasn’t Everything Already Disappeared?” prosegue sulla falsariga tracciata da “Fading Frontier”, approfondendo il lato psichedelico dei Deerhunter. Ciò è evidente in brani come la strumentale Greenpoint Gothic e Tarnung. I pezzi più riusciti sono, però, quelli più accostabili ai capolavori del gruppo, in cui l’abilità strumentale dei membri dei Deerhunter può venire allo scoperto: il primo singolo Death In Midsummer è ottimo, così come No One’s Sleeping, con bellissima coda strumentale capitanata dal chitarrista Lockett Pundt. Degna di nota anche What Happens To People?. L’unica traccia davvero debole è la confusa Détournement, ma i risultati restano complessivamente buoni.
Liricamente, Cox ritorna su sentieri già percorsi, ma mai in maniera banale: in Death In Midsummer riprende il tema della morte, questa volta degli amici, cantando “They were in hills, they were in factories. They are in graves now”. Il pessimismo ritorna in What Happens To People?: “What happens to people? They quit holding on. What happens to people? Their dreams turn to dark”. Ma è in Détournement che abbiamo la lirica più drammatica: “Your struggles won’t be long and there will be no sorrow on the other side.”
In conclusione, abbiamo già un pretendente alla lista dei migliori 50 album del 2019: i Deerhunter si confermano band affidabile in termini di qualità compositiva, con una discografia davvero eccellente e varia. Complimenti, Bradford & co.
Voto finale: 8.
Sharon Van Etten, “Remind Me Tomorrow”
Il quinto album non autoprodotto dell’artista americana Sharon Van Etten è una reinvenzione artistica di alto livello: alzando il volume dei sintetizzatori, Sharon compie una svolta simile a quella dei Tame Impala ai tempi di “Currents”, con ottimi risultati.
La Van Etten era assente dalla scena musicale da 4 anni: al 2015 risale infatti l’EP “I Don’t Want To Let You Down”. Tuttavia, questi non erano stati anni di letargo per lei: nel 2017 aveva fatto una comparsata in Twin Peaks, la serie cult di David Lynch. Inoltre, è diventata mamma e ha finalmente trovato una relazione stabile, riuscendo a dimenticare quella vissuta in gioventù che aveva formato molti dei riferimenti dei suoi CD precedenti, fatta di abusi e continue umiliazioni.
Il disco si apre con la lenta ballad I Told You Everything, un inizio non trascendentale ma che prepara bene il terreno per il bellissimo secondo brano, No One’s Easy To Love, uno degli highlight di “Remind Me Tomorrow”. Comeback Kid ricorda da vicino le ultime incarnazioni di Annie Clark, mentre Jupiter 4 è una dolce nenia che alla lunga conquista. Molto interessante You Shadow, meno Malibu. La chiusura dell’album è epica: Hands è potente al punto giusto, Stay invece è una ballata che ricorda la vecchia Sharon.
Dal punto di vista testuale, “Remind Me Tomorrow” sembra ripartire da dove ci eravamo lasciati con “Are We There” (2014): I Told You Everything infatti inizia con “You said, ‘Holy shit, you almost died’”, riferendosi probabilmente al fidanzato violento cui avevamo già accennato. Altrove, però, il tono di Sharon è più minaccioso: “You’ll run” urla in Memorial Day. La Van Etten, tuttavia, non ha certezze di come il tutto finirà: “I don’t know how it ends” canta in Stay, una sensazione che purtroppo tutti proviamo di fronte all’amore.
In generale, il forte cambiamento impresso da Sharon al suo iconico stile, che aveva ispirato artiste come Phoebe Bridgers e Julien Baker, rappresenta un beneficio per lei dal punto di vista artistico. Avere una maggiore versatilità è sempre fondamentale per garantirsi una lunga e prolifica carriera; se poi la qualità resta così alta, non possiamo che esserne felici.
Voto finale: 8.
James Blake, “Assume Form”
Il quarto CD del talentuoso produttore e musicista inglese James Blake è un deciso cambio di direzione. Mentre infatti agli esordi James si distingueva per un’elettronica d’avanguardia, mescolata abilmente con R&B e pop da camera, “Assume Form” vira decisamente verso il lato più pop della sua palette sonora. Vantando collaborazioni del calibro di Travis Scott e Moses Sumney, fra le varie presenti nel disco, James Blake è quindi diventato un cantautore vero e proprio, con forti influenze R&B e hip hop (!).
La title track, che apre l’album, in realtà richiama più le atmosfere di “Overgrown” (2013): pianoforte in primo piano, atmosfere raffinate e produzione impeccabile. La prima vera sorpresa arriva con Mile High, ottimo pezzo che vanta i featuring di Scott e Metro Boomin: sembra quasi di sentire un pezzo trap ma con sonorità decisamente più eteree e meno tamarre. Insomma, un possibile filone di un hip hop per un pubblico più raffinato. Buona anche la seguente Tell Them, con Metro Boomin di nuovo coinvolto, stavolta insieme all’astro nascente dell’R&B Moses Sumney. “Assume Form” non a caso è il primo LP a firma James Blake dove le collaborazioni sono numerose: oltre ai già menzionati Scott, Sumney e Metro Boomin abbiamo anche la promettente Rosalia e André 3000 (ex Outkast).
Accanto alla forte influenza della musica black, ritorna il James più malinconico, che pervadeva i precedenti dischi, soprattutto “The Colour In Anything” (2016): la chiusura Lullaby For My Insomniac ricorda quasi un brano gospel mescolato con Meet You In The Maze o Measurements, mentre Are You In Love? è una ballata molto romantica, così come Don’t Miss It. Non convince appieno Into The Red, mentre la spagnoleggiante Barefoot In The Park è un esperimento stranamente affascinante. Buona Power On, che come il titolo annuncia dà un po’ di energia ad un finale altrimenti troppo monocorde.
Una grande novità risiede anche nella parte testuale di “Assume Form”: Blake è finalmente pronto a condividere molti più dettagli della sua vita personale, tanto che già nella title track dichiara: “I will be touchable, I will be reachable”, lasciando da parte finalmente quell’alterità rispetto al mondo circostante che spesso pervadeva i suoi passati lavori. Anche se a volte anche lui capisce che essere al centro dell’attenzione può essere pesante (“Everything is about me, I am the most important thing” canta in Don’t Miss It), l’abbandono della timidezza è un fatto positivo e ci fa intravedere il lato più intimo del cantante inglese.
In conclusione, “Assume Form” non è decisamente il miglior LP della discografia di James Blake, tuttavia apre nuove interessanti prospettive per l’ancora giovane cantante britannico. Se in futuro ritornerà l’innovatore che è stato finora, potremo star certi che la sua carriera potrà brillare ancora per molti anni.
Voto finale: 7,5.
Charlotte Gainsbourg, “Take 2”
La cantante e attrice francese Charlotte Gainsbourg, figlia del grande Serge e di Jane Birkin, era tornata nel 2017 dopo ben otto anni di assenza dalla scena musicale. “Rest” era dedicato alla sorellastra Kate, suicidatasi nel 2013 buttandosi da un balcone. Lo shock aveva spinto Charlotte a cantare tutti i bei momenti passati con lei, creando un CD pop ma allo stesso tempo denso di contenuti non facili.
“Take 2” è quindi uno stretto compagno di “Rest”: le sonorità dei tre inediti sono vicine a quelle del disco vero e proprio, mentre le due versioni live (una cover di Runaway di Kanye West e Deadly Valentine) fanno capire quanto efficace sappia essere la Gainsbourg anche su un palco.
L’EP si apre con Such A Remarkable Day, un semplice brano french pop molto adatto ad esaltare le abilità canore e interpretative di Charlotte; Bombs Away è invece un brano più electropop, il meno riuscito del lotto. Lost Lenore sarebbe invece stata benissimo in “Rest”, essendo pomposa ma evocativa al punto giusto.
Runaway è il pezzo migliore del breve lavoro: la Gainsbourg reinterpreta la stupenda canzone di Kanye in maniera decisamente più intimista, con risultati davvero ottimi. Infine, Deadly Valentine si conferma uno dei pezzi più belli di “Rest”.
In conclusione, “Take 2” è un EP immancabile per gli amanti dell’artista francese, che si conferma degna erede di Serge Gainsbourg e Jane Birkin.
Voto finale: 7,5.