
Kanye West.
Dopo miriadi di rinvii, polemiche, cambi di nome, annunci di pubblicazione poi smentiti dai fatti, finalmente Kanye West ha pubblicato il seguito del discusso “Ye” del 2018. “JESUS IS KING” è l’album gospel anticipato da Kanye in varie interviste prima della pubblicazione, il CD in cui si dichiara “non più schiavo” di sesso e moda, ma pronto a servire il Signore. Ma è davvero un disco al livello dei precedenti del geniale rapper di Chicago?
Il disco nasce con strane premesse: inizialmente Kanye avrebbe dovuto pubblicare “Yandhi”, un album per così dire “laico”, sulla falsariga dei precedenti. Tuttavia, dapprima il progetto era stato posticipato, poi definitivamente accantonato, per poi finire su internet sotto forma di bootleg. Al suo posto abbiamo questo “JESUS IS KING”, che teoricamente (ma con lui mai dirlo con certezza) precede “JESUS IS BORN”, che verrà pubblicato naturalmente a Natale. L’artista americano ha deciso, come suo solito, di fare le cose in grande: a “JESUS IS KING” hanno collaborato, come produttori o collaboratori nelle canzoni, i Clipse (cioè Pusha-T e suo fratello No Malice), Ty Dolla $ign, Timbaland e Francis Starlite (Francis And The Lights).
Messe da parte le chiacchiere, analizziamo la struttura del disco: seguendo un trend già visto con le sessioni del Wyoming dello scorso anno, West crea un prodotto molto breve (11 canzoni per 27 minuti), con alcuni brani che sembrano semplici bozze, si sentano Closed On Sunday e Follow God. Il problema è che questa sensazione di precarietà non fa giustizia a canzoni che parrebbero in realtà molto promettenti: la stessa Closed On Sunday sarebbe stata bene in “808s & Heartbreak” (2008). Anche altrove troviamo indicazioni intriganti: On God è buona, Hands On col suo beat sghembo pare presa dalle b-sides di “Yeezus” (2013).
Testualmente, ricordiamo l’avvenuta ri-conversione di West; i temi cristiani sono sempre stati più o meno presenti nella sua musica, basti pensare alla hit Jesus Walks del 2004 o a molte canzoni di “The Life Of Pablo” (2016). Tuttavia, mai un suo LP era stato così marcatamente religioso: Follow God prende un sample dalla canzone gospel Can You Lose By Following God, in On God si chiede “How you got so much favor on your side?”, rispondendosi “Accept him as your lord and savior”. La stessa On God contiene un riferimento alla polemica per antonomasia scatenata da Kanye negli ultimi mesi, quella sulla schiavitù dei neri nell’America dei secoli scorsi, “Thirteenth Amendment, gotta end it, that’s on me”. Insomma, West non si è stancato di essere discusso, nel bene quanto (ultimamente più spesso) nel male.
Creativamente, così come “Ye”, “JESUS IS KING” non entrerà nella top 50 dell’anno di A-Rock, per quanto poco conti comunque un segnale che qualcosa si è rotto. Il Kanye che rompeva qualsiasi schema precostituito nell’hip hop e ispirava artisti come Drake, Bon Iver e Kendrick Lamar ha lasciato il posto a un personaggio dei media, più interessato a far parlare di sé che al risultato finale. Questa nuova attenzione alla religione sarà una nuova, estrema mossa di marketing o un cambiamento sincero? Questo è il problema: con West non sappiamo più cosa è vero e cosa no. E quando un artista perde l’autenticità, per quanto si sia amato in passato, non merita più della sufficienza, anche per un lavoro per certi versi rivoluzionario e non completamente fuori controllo come “JESUS IS KING”.
Voto finale: 6.