I 5 album più deludenti del 2019

Il 2019 ci ha regalato molti CD di ottima fattura, come vedremo nella lista dei 50 migliori album dell’anno. Tuttavia, come ogni anno, le delusioni non sono mancate; a fare specialmente male sono quelle provenienti da artisti “affidabili”, che mai in passato avevano pubblicato dischi davvero scadenti. Parleremo pertanto a malincuore di Chance The Rapper, Ed Sheeran, Interpol, Logic e Mac DeMarco, in rigoroso ordine alfabetico. Non vogliamo infatti creare preferenze fra album ahimè di cattivo gusto. Buona lettura (ma ne sconsigliamo vivamente l’ascolto)!

Chance The Rapper, “The Big Day”

chance

Dopo tre mixtape di crescente successo, il rapper statunitense ha deciso di pubblicare il primo CD ufficiale a firma Chance The Rapper. Il risultato è piuttosto contraddittorio: spesso le 22 canzoni (e i 77 minuti che ne derivano) possono risultare decisamente pesanti, anche perché i temi portanti del disco, la felicità coniugale e l’amore per Dio per avergli concesso questa fortuna, possono essere, beh, fin troppo smielati.

“The Big Day” era peraltro molto atteso da pubblico e critica: Chance è il rapper indipendente più famoso sui servizi di streaming e sui social, anche grazie ad una personalità esuberante e solare. Questa solarità tuttavia va a detrimento dei risultati del disco: mentre in “Coloring Book” (2016) e nel precedente “Acid Rap” (2013) il focus di Chance The Rapper era preciso e mai ridondante, in “The Big Day” il Nostro non riesce ad essere mai totalmente convincente.

Vi sono canzoni riuscite, a dire il vero, che riportano alla mente le migliori di Chance, come Do You Remember, grazie anche all’aiuto del cantante dei Death Cab For Cutie Ben Gibbard. Altrove però abbiamo veri e propri fiaschi, soprattutto nel finale, in cui Chance presenta brani a mala pena finiti e il mood generale del disco comincia a pesare. Basti pensare a I Got You (Always And Forever) e Hot Shower. Altra caratteristica criticabile: i numerosi skit, cioè i brevi intermezzi popolari nel mondo hip hop negli anni ’00, che rompono solamente il flusso delle canzoni senza aggiungere nulla di significativo al contenuto lirico del CD. Peccato, perché il lavoro contava un parco ospiti sterminato e variegato fra produttori (Justin Vernon dei Bon Iver, James Taylor) e cantanti (Nicky Minaj, Shawn Mendes, Gucci Mane), poco sfruttati da Chancelor Jonathan Bennett (questo il vero nome di Chance).

Dicevamo delle tematiche affrontate nel corso di “The Big Day”. Chance The Rapper, da poco sposato, ha dedicato “The Big Day” alle gioie matrimoniali, con accanto abbondanti riferimenti alla religione, un tema va detto ricorrente nella sua discografia. Ad esempio, in We Go High canta “They prop up statues and stones, try to make a new God. I don’t need a EGOT, as long as I got you, God”. Altrove abbiamo temi più maturi come la paura della morte (“Used to have an obsession with the 27 club, now I’m turning 27, wanna make it to the 2070 club” in Do You Remember) e le battaglie femministe (“For every small increment liberated, our women waited” in Zanies and Fools), però il disco è davvero troppo lungo per apprezzare appieno questi riferimenti testuali.

In conclusione, “The Big Day” è una delle maggiori delusioni dell’anno. Sposando un pop-rap davvero scontato, almeno in alcune canzoni, Chance The Rapper ha prodotto il primo vero fiasco della sua finora onorevole carriera. Speriamo che si riprenda presto, tornando a creare LP più brevi e centrati rispetto a questo “The Big Day”.

Ed Sheeran, “No.6 Collaborations Project”

ed

Il quinto album a firma Ed Sheeran è un “fritto misto” buono per tutti i gusti e, proprio per questo, poco convincente sotto tutti i punti di vista. Mescolando hip hop, country, pop, rock ed elettronica, con ospiti disparati che vanno da Travis Scott a Chris Stapleton, passando per Bruno Mars e Justin Bieber, Ed ha completamente perso ogni unicità, fatto che lo equipara al peggior DJ Khaled (segnaliamo peraltro che quest’ultimo non ha trovato spazio in questo articolo solo per motivi di numero di artisti coinvolti).

Insomma, il successo arride al cantautore irlandese, ma la qualità dei CD da lui prodotti scema a ogni pubblicazione. Se già in “÷” (2017) si erano intravisti segnali di cedimento, “No.6 Collaborations Project” con la sua struttura di playlist mal calibrata rende l’estetica di Sheeran del tutto superflua e le poche canzoni che funzionano paiono farlo non grazie a lui, ma malgrado lui.

Vedremo in futuro se Ed privilegerà l’integrità artistica o il fatturato: da questo dipende molto, se non tutto.

Interpol, “A Fine Mess”

interpol

Dopo il buon “Marauder” (2018), il loro sesto album, gli Interpol sono tornati già all’opera. “A Fine Mess” (“un bel casino”) presenta 5 canzoni, probabilmente rimaste fuori da “Marauder”, in un EP di breve durata ma decisamente intenso.

Il gruppo statunitense è infatti tornato a calcare le ben note frontiere post-punk che ne hanno fatto la fortuna ma anche rappresentato una maledizione; gli Interpol non sono purtroppo mai riusciti a rinnovare il loro sound, rimanendo intrappolati nel successo di “Turn On The Bright Lights” (2002), il loro eccellente album d’esordio.

Il problema è che la formula inizia a essere consumata e i risultati, specialmente prendendo delle b-sides, sono mediocri. Se infatti sia “El Pintor” (2014) che “Marauder” erano riusciti in qualche modo a mantenere alta la bandiera degli Interpol, “A Fine Mess” è, come indica il titolo, un casino, ma decisamente non “bello”: canzoni senza direzione, mixate male e prodotte peggio.

C’è ben poco da salvare in quello che è, assieme all’omonimo “Interpol” del 2010, il peggior fiasco della carriera della band di Paul Banks e compagni. Peccato, perché pareva che gli Interpol avessero ritrovato linfa vitale negli ultimi anni.

Logic, “Supermarket” / “Confessions Of A Dangerous Mind”

supermarket

logic

In breve potremmo dire: Logic, fermati.

I due album pubblicati nel 2019 sono infatti i peggiori album hip hop dell’anno, pieni di riferimenti a Fortnite (e già questo denota la profondità dei CD) così come di versi completamente insensati quando non volgarissimi. Ne troviamo un paio notevoli in “Confessions Of A Dangerous Mind”: Logic è capace di dire senza battere ciglio “I’d suck a dick just to prove I aint homphobic” (traduzione vietata ma senso inequivocabile) e “Who’s bi-racial only in his penis?”.

“Supermarket” forse fa anche peggio: mentre prima avevamo un rapper allo stremo della creatività e quasi assurdamente incosciente, qui Logic pareva voler fare un album rock. Sì, rock: riferimenti a Queen (Bohemian Trapsody) e Radiohead (Best Friend) compresi. I risultati paiono una parodia di uno scadente disco rock, ulteriore dimostrazione che il rap-rock solo in rari casi funziona.

Un 2019 così tragico lo avremmo difficilmente messo in conto per Logic: vero, non è il più talentuoso rapper su piazza, ma avventurarsi in due LP in un solo anno e sbagliarli clamorosamente entrambi sono cose che solo una “mente pericolosa” (ops) può fare.

Mac DeMarco, “Here Comes The Cowboy”

mac

Il canadese Mac DeMarco, giunto al quarto album, rallenta ulteriormente i ritmi e allunga ancora di più il bordo, con canzoni a volte davvero bizzarre e risultati generalmente mediocri.

Rispetto al passato, DeMarco aveva già fatto intravedere delle evoluzioni nel precedente “This Old Dog” (2017): ritmi più compassati, testi più diretti e un’attenzione alla produzione maggiore. I risultati erano stati interessanti, ma forse non al livello del suo capolavoro “Salad Days” (2014). La vera svolta nella sua discografia sembra quindi essere l’EP “Another One” (2015), che per primo aveva fatto vedere il lato dolce di Mac, con delizie come The Way You’d Love Her.

Il vero problema di “Here Comes The Cowboy” tuttavia non è l’evoluzione dell’estetica del cantautore canadese: alla fine “This Old Dog” era entrato nella top 50 del 2017 di A-Rock senza problemi, a dimostrazione che i cambiamenti non sempre sono negativi, anzi. Le canzoni del nuovo lavoro però sono per lo più pigre: Mac suona quasi svogliato, i pochi esperimenti (come la funk Choo Choo) sono scadenti e la capacità di DeMarco di scrivere canzoni semplici ma accattivanti sembra esaurita.

È un sollievo allora sentirlo cantare “I hope you had your fun…all those days are over now” in Little Dogs March: forse un’idea di cambiamento più deciso si è fatta strada nella psiche contorta del nostro. Alla fine, comunque, un paio di brani buoni però ci sono: Nobody e On The Square, non a caso scelti per promuovere il CD, rientrano fra i migliori della carriera di Mac. Allo stesso tempo, la presenza di fiaschi totali come Choo Choo e la monotona title track rovina un LP altrimenti discreto.

In conclusione, “Here Comes The Cowboy” è ad ora il disco più debole nella prospera carriera di Mac DeMarco. La necessità di cambiare è evidente, per evitare una spirale potenzialmente drammatica nella qualità dei suoi futuri lavori.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...