Il numero spropositato di CD interessanti usciti nel penultimo giorno di febbraio ha reso necessario redigere un articolo ad hoc. A-Rock non ha infatti potuto includere nel consueto recap di fine mese i nuovi lavori di Caribou, Soccer Mommy, Christine And The Queens e Real Estate. Buona lettura!
Soccer Mommy, “color theory”

Il secondo album della cantautrice di Nashville Sophie Allison, in arte Soccer Mommy, è un ottimo passo avanti in una discografia che era cominciata col botto. “Clean” (2018) infatti aveva colpito pubblico e critica (aveva anche fatto parte di una rubrica Rising di A-Rock) per la sua disarmante sincerità e per testi sempre diretti, in cui Sophie addirittura immaginava di mangiare i propri ex partner (Cool) e in cui declamava fiera “I don’t wanna be your fucking dog” (Your Dog).
Il percorso intrapreso nel precedente lavoro, un indie rock intervallato da brani più lenti, non viene abbandonato in “color theory”; piuttosto notiamo una crescita nella composizione e, allo stesso tempo, la perdita di quell’effetto sorpresa che aveva reso “Clean” così toccante. Il lavoro non è malvagio, anzi sono più gli alti dei bassi, ma la prossima volta sarà lecito attendersi più sperimentalismo da Sophie.
Il CD inizia molto bene: bloodstream è un ottimo pezzo indie rock, capace di una progressione potente che fa culminare il brano nel bellissimo finale. Invece royal screw up è più debole e sa di già sentito. Molto belle poi crawling in my skin e la breve up the walls. Colpisce poi un aspetto nella struttura complessiva del disco: molte canzoni superano i 4 minuti, addirittura yellow is the color of her eyes arriva a 7, testimonianza di una creatività mai doma.
Il tema dominante del lavoro è, già dal titolo, come i colori possono essere collegati alle sensazioni che tutti noi proviamo. Soccer Mommy presenta tre colori per tre corrispondenti emozioni: blu=depressione, giallo=dolore, grigio=mortalità. “color theory” vaga fra queste tre percezioni dell’animo non perdendo mai il filo della narrazione e delineando il profilo di una narratrice depressa, conscia che la vita è caratterizzata da momenti belli e altri brutti, ma merita di essere vissuta fino in fondo. Ne sono esempi “I am the problem for me, now and always” (royal screw up) e “Standing in the living room talking as you’re staring at your phone… it’s a cold I’ve known” (nightswimming).
“color theory” è il lavoro più maturo a firma Soccer Mommy, un nome ormai riconosciuto nel mondo indie e sinonimo di qualità e testi candidi. Sophie Allison ha già compiuto passi da gigante nella sua maturazione come artista e come donna, manca solo un ultimo step per comporre quello che potrebbe essere il suo LP definitivo.
Voto finale: 8.
Caribou, “Suddenly”

Il settimo CD a firma Caribou arriva dopo ben 6 anni dal precedente “Our Love”: un intervallo di tempo così lungo non è tuttavia stato speso inutilmente da Dan Snaith, colui che si cela dietro il progetto Caribou. Daphni, infatti, altro alter ego del musicista canadese, aveva pubblicato “Joli Mai” nel 2017; un album che tuttavia non raggiungeva le vette dei migliori lavori a firma Caribou, come ad esempio “Swim” (2010) e lo stesso “Our Love” (2014).
“Suddenly” è l’album più stilisticamente vario di Snaith: pop, elettronica, rock e rap si trovano qua e là nel corso del CD, così come brevi parentesi jazz e psichedeliche. Ciò tuttavia non va a detrimento della qualità: il marchio Caribou ha sempre mantenuto alto il livello, è vero, ma “Suddenly” certamente ne tiene alto il nome.
Accanto a tutto ciò, forse per la prima volta in un disco di Caribou le liriche non sono semplici echi di voci lontane poste su basi house o psichedeliche: adesso la voce di Dan è spesso alta nel mix, così come quella dei numerosi ospiti presenti nei samples dei vari brani. Basti pensare a Home e Sunny’s Time, dove per la prima volta l’hip hop la fa da padrone. Potrà piacere o meno, ma denota una crescita e un coraggio nel produttore e cantautore Dan Snaith che non sono banali.
La lirica più commovente è cantata però da Dan stesso: “I’m broken, so tired of crying… Just hold me close to you”, in Cloud Song, è il simbolo di un uomo fragile, debilitato da esperienze drammatiche (il divorzio, la morte di persone care). Un’ammissione certamente non facile, per Dan, ma commovente.
Musicalmente, “Suddenly” è, come già accennato, un’aggiunta di spessore ad un catalogo ingombrante: non c’è forse un’altra Odessa o Can’t Do Without You, ma pezzi come You And I e Ravi (che pare un pezzo sanificato dei Prodigy) sono comunque notevoli. Invece troppo breve il pur affascinante intermezzo Filtered Grand Piano.
“Suddenly” non è un lavoro perfetto, ma rappresenta nonostante tutto un passo avanti importante per il musicista canadese. Dan Snaith non è mai suonato così libero eppure così fragile (in varie interviste ha detto di aver prodotto negli scorsi cinque anni ben 900 potenziali pezzi, fra campionamenti e melodie vere e proprie). Vedremo dove le prossime incarnazioni del progetto Caribou lo porteranno, ma sappiamo che resterà fedele a un motto: meglio pochi (LP) ma buoni.
Voto finale: 8.
Christine And The Queens, “La Vita Nuova”

Il nuovo EP a firma Christine And The Queens arriva a due anni da “Chris”, il doppio album da ben 23 canzoni che era servito da presentazione massiva dell’estetica dell’artista francese (vero nome Hélöise Letissier). Cantato in francese, inglese, spagnolo ed italiano (!), l’EP è un piacevole antipasto del nuovo lavoro di Hélöise.
Accanto al breve lavoro compare anche un filmato, con soundtrack ovviamente rappresentata dai brani dell’EP, in cui Chris (l’alter ego creato nel precedente CD e ancora incarnato in “La Vita Nuova”) balla su un tetto per poi ritrovarsi, quasi fosse il video di Thriller, in un teatro pieno di vampiri a duettare con l’ex cantante dei Chairlift Caroline Polachek (presente in La Vita Nuova). Un’ambizione quindi visionaria da parte di Hélöise Letissier.
I 6 brani di “La Vita Nuova” sono ben amalgamati e rappresentano ad oggi il lavoro più coeso della musicista francese: di particolare rilevanza l’iniziale People, I’ve Been Sad e la raccolta Mountains (We Met), ma nessuno è fuori contesto. Anche liricamente il disco è ben focalizzato sui temi della perdita di un amore, ad esempio “Do you think there’s only one thing to do? To write a song about you?” canta Chris in Mountains (We Met), mentre in La Vita Nuova la sentiamo proclamare: “Heartbreakers… I never take their answer for sure”.
Complessivamente dunque siamo di fronte ad un ottimo EP, uno dei migliori dell’anno, che riporta meritatamente Christine And The Queens al centro del palcoscenico della scena pop che si rifà anni ’80, pronta a spiccare il salto verso lo stardom nel prossimo lavoro.
Voto finale: 7,5.
Real Estate, “The Main Thing”

Il nuovo disco della band statunitense rappresenta, strano a dirsi, un deciso cambiamento per i Real Estate. Arrangiamenti più complessi, ospiti di spessore e canzoni più lunghe fanno sì che “The Main Thing” sia un CD non immediato, segno che il gruppo capitanato da Martin Courtney ha voglia di cambiare pelle.
Fin dalle prime due tracce, le suadenti Friday e Paper Cup (con quest’ultima che conta la collaborazione di Amelia Meath dei Sylvan Esso), capiamo che non siamo di fronte ad un nuovo “Days” (2011) o “Atlas” (2014): le tastiere la fanno da padrone e la delicata voce di Courtney è affiancata dalla Heath, prima volta che udiamo una voce femminile in un disco dei Real Estate.
È vero che altrove troviamo atmosfere più familiari ai fans della prima ora della band: Falling Down e Shallow Sun paiono prese dai primi CD dei Real Estate, con la loro andatura dolce e la chitarra in primo piano. Non avremo più Matt Mondanile a dettare i ritmi, ma il fascino di pezzi così semplici ma amabili non scema mai.
Liricamente, accanto a quei sentimenti di noia e paura di crescere dei lavori più rinomati dei Real Estate, troviamo anche riferimenti velati all’attualità politica: in Silent World Courtney canta “Can’t let you wander off out in this wicked world”, mentre in You affiorano le ansie per la crescita inesorabile dei suoi figli: “Just dream your time away, I see no better use for it, for soon you’ll be awake. Then you’ll have to get used to it”.
Il CD non è un capolavoro, come invece sbandierato da Martin Courtney in alcune interviste, ma dimostra che anche band considerate a torto o a ragione nostalgiche sono capaci di cambiare e “invecchiare con stile”, se si dispone del talento sufficiente. “The Main Thing” è quindi un prodotto di buon artigianato, che fa ben sperare per il futuro dei Real Estate. Non una cosa da poco, considerate le premesse poco lusinghiere degli osservatori più critici.
Voto finale: 7,5.