Oasis, “(What’s The Story) Morning Glory?”
Il secondo, trionfale CD della band originaria di Manchester è il punto più alto del britpop, il movimento nato ad inizio anni ’90 che avrebbe reso popolare il concetto di “Cool Britannia” grazie al successo di complessi come Blur, Verve e, appunto, Oasis. Se “Definitely Maybe” (1994) già aveva fatto intuire la stoffa pregiata di cui erano formati gli Oasis grazie a brani come Supersonic, Live Forever e Slide Away, “(What’s The Story) Morning Glory?” li portò nell’Olimpo del rock, troneggiando a lungo nella lista degli album più venduti e facendo vincere ai fratelli Gallagher la “guerra delle band” contro i Blur a mani basse.
Il paradosso è che la prima battaglia dello scontro feroce con la band di Damon Albarn era stato vinta proprio da quest’ultima: Country House, grande hit dei Blur, aveva surclassato Roll With It come singolo più ascoltato del momento. Pareva quindi che “The Great Escape” avrebbe stravinto la battaglia contro “(What’s The Story) Morning Glory”, ma gli Oasis avevano in realtà compiuto una mossa intelligente in retrospettiva: scegliere come primo singolo uno dei brani più deboli del disco. Se contiamo infatti che i successivi furono Wonderwall, Some Might Say, Champagne Supernova e Don’t Look Back In Anger, beh Roll With It scompare al loro confronto.
L’abbondanza di canzoni immortali e ascoltatissime ancora oggi rischia tuttavia di fare ombra a pezzi che sarebbero vette nella produzione del 90% delle band del tempo: la malinconica Cast No Shadow (dedicata da Noel a Richard Ashcroft, amico e frontman dei Verve) e la martellante Hey Now sono anelli fondamentali di una catena indistruttibile di successi. Gli unici pezzi sotto media sono proprio Roll With It e l’eccessivamente beatlesiana She’s Electric; il CD tuttavia non viene intaccato da questi episodi, rimanendo imprescindibile per gli amanti del pop-rock.
È un fatto che poi in futuro gli Oasis non siano mai nemmeno lontanamente andati vicini ai risultati incredibili di “(What’s The Story) Morning Glory”, ciò nondimeno non deve far passare in secondo piano che, nei loro primi anni di esistenza, gli inglesi capitanati da Liam e Noel Gallagher siano stati in grado di tenere testa agli americani Nirvana come band rock più famosa al mondo. Entrambe sono finite in modo drammatico, l’una con la morte del proprio frontman e l’altra fra liti infinite tra i due fratelli Gallagher. L’impatto di Nirvana e Oasis però resta vivo ancora oggi: se in un caso la discografia è impeccabile in ogni suo aspetto (Nirvana), gli Oasis hanno invece zoppicato soprattutto nella seconda parte di carriera. Ma chi si permetterebbe di dire che “(What’s The Story) Morning Glory?” è un CD mal riuscito?
Voto finale: 9,5.
Radiohead, “Kid A”
I Radiohead arrivavano dall’incredibile successo di critica e pubblico per “OK Computer” (1997), il CD che li aveva catapultati sulla bocca di tutti come i salvatori del rock inglese. Dare un seguito a un disco così profetico (soprattutto oggi) sul rapporto fra uomo e macchine e contenente brani fondamentali come Paranoid Android e Karma Police era un’impresa titanica, che spinse il gruppo di Thom Yorke a cercare risposte audaci e ben poco convenzionali.
Chi ascolta “Kid A” per la prima volta dopo aver amato “OK Computer” rimarrà frastornato: dove sono le schitarrate di Jonny Greenwood? Che fine ha fatto la batteria? E come mai pare un CD di Aphex Twin piuttosto che un lavoro rock? Le domande sono tutte legittime, ma le risposte denotano una volta di più la grandezza dei Radiohead. I Nostri, forse spaventati dall’enorme popolarità dei precedenti loro lavori e vogliosi di sperimentare, cominciarono ad ascoltare i CD jazz ed elettronici che avevano fatto la storia dei due generi: da “Bitches Brew” di Miles Davis ai lavori degli Autechre, passando per assaggi di Can e Tom Waits.
I risultati furono stupefacenti: se “OK Computer” già aveva abbandonato le atmosfere quasi britpop di “The Bends” (1995) in favore di testi criptici e canzoni ben più dark, “Kid A” induce alla follia. Sintetizzatori in primo piano, la voce di Thom Yorke più angosciata che mai, testi sull’alienazione e su come sparire del tutto (How To Disappear Completely), pezzi completamente dance (Idioteque), assoli di sax (The National Anthem), intervalli ambient à la Brian Eno (Treefingers)… Insomma, un’esperienza sonora indimenticabile.
In tutto ciò ci siamo scordati di menzionare i brani probabilmente più iconici dell’intero LP: l’iniziale Everything In Its Right Place e la title track sono pezzi stratosferici, misteriosi e però allo stesso tempo accessibili, sperimentali e avanguardisti. Non dimentichiamoci poi la traccia fintamente ottimista intitolata per l’appunto Optimistic e Morning Bell, che conduce il CD all’ultimo tratto in maniera superba.
I Radiohead ottennero ancora più riconoscimenti, con “Kid A” che vinse un Grammy per miglior disco di musica alternativa e venne incoronato miglior CD della decade 2000-2009 da pubblicazioni prestigiose come Rolling Stone e Pitchfork. La missione di autodistruzione lanciata da Thom York e compagni era pertanto fallita, aprendo anzi la strada a band come The xx e Grizzly Bear così come sul versante più rock a Muse e Coldplay, che riempirono il vuoto lasciato dai Radiohead.
In una decade che ha visto l’attentato alle Torri Gemelle, due guerre catastrofiche lanciate dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan e la crisi economica più grave dal 1929, eventi che ancora oggi hanno conseguenze sulle nostre vite, “Kid A” è in effetti stato un lavoro profetico. Tuttavia, il tema portante del lavoro, l’alienazione della società moderna, è ancora più pregnante oggi, in pieno Coronavirus e con Internet e i social sempre più pervasivi. Siamo infatti davvero sicuri che Facebook e gli altri social ci abbiano migliorato l’esistenza? Ai posteri l’ardua sentenza; “OK Computer” e “Kid A” restano in ogni caso capisaldi del rock ed hanno consacrato i Radiohead a veri eredi dei Beatles in fatto di voglia di sperimentare in ogni aspetto del rock.
Voto finale: 9,5.