Tra metà agosto e inizio settembre il mondo del rap è stato sconvolto dall’uscita di due fra i CD più attesi dell’anno: i ritorni di due pezzi grossi del genere, Kanye West e Drake. I due, non è un mistero, sono divisi da una faida che va avanti da alcuni anni e anche recentemente si sono fatti dispetti e “diss” più o meno pesanti.
La verità è che sono troppo simili per piacersi: egocentrici ai massimi livelli, accentratori, talentuosi e baciati da un enorme successo. Ecco perché, probabilmente, i due album appena pubblicati soffrono di comuni difetti: eccessiva lunghezza, momenti in cui i due sembrano copiare i sé stessi di dieci anni fa, testi per lo più solipsisti. In poche parole: sia “Donda”, il CD che Kanye ha dedicato alla madre morta nel 2007, che “Certified Lover Boy”, il nuovo lavoro di Drake, sono dei grandi successi commerciali ma dei flop artistici. Analizziamoli in dettaglio.
Kanye West, “Donda”
Può un artista che ha sostenuto pubblicamente l’ex presidente americano Donald Trump e l’anno scorso ha tentato maldestramente la corsa per diventarlo a sua volta, che ha dichiarato che “la schiavitù dei neri, durata 400 anni, è stata una loro scelta”, che ha dato il suo appoggio a personaggi quantomeno discussi come DaBaby (conclamato omofobo), Bill Cosby e Marilyn Manson (accusati di abusi sessuali su varie donne), essere ancora al centro dell’attenzione della scena discografica mondiale e del pubblico, che continua a adorarlo malgrado tutto?
Kanye West è ormai entrato nell’immaginario comune come il perfetto esempio del binomio genio-follia: se fino a cinque anni fa la prima dimensione prevaleva, basti pensare a capolavori come “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” (2010) e “The Life Of Pablo” (2016), negli ultimi anni il bipolarismo di cui soffre ha avuto la meglio. Collassi pubblici, dichiarazioni avventate sui social, il divorzio dalla star Kim Kardashan… tanti sono i segnali di una salute mentale deteriorata. A questo aggiungiamo un rapporto tormentato con la fede cristiana, incarnato dagli ultimi album gospel da lui prodotti, come “JESUS IS KING” del 2019.
Peraltro, il rollout di “Donda” è stato tutto meno che coerente: prima l’annuncio che il CD sarebbe uscito addirittura a luglio 2020, poi continui rinvii, con tanto di performance pubbliche in anteprima e uno stadio intero affittato per fargli finire il lavoro. Insomma, il rischio (per alcuni la certezza) che il lavoro sarebbe stato un flop colossale era ben presente. “Donda”, in qualche modo, grazie anche a un parco ospiti di grande qualità, riesce a guadagnarsi la sufficienza; ma davvero Kanye voleva dedicare un disco così confusionario e autoreferenziale alla memoria della madre morta?
Qui, in effetti, sta il paradosso: Donda West, madre amatissima di Kanye morta nel 2007, sarebbe il personaggio principale del CD. Invece la sua presenza è solo una minima parte nella cascata di canzoni che compongono la tracklist: un paio di intermezzi (Donda Chant e Donda), alcune canzoni in cui Kanye e i suoi amici la evocano, ma nulla di più. Altrove affiorano invece altri temi cari al Nostro, come la fede, il divorzio, l’impatto della celebrità… insomma, un fritto misto di difficile comprensione, anche dopo molti ascolti.
Ed è un peccato, perché canzoni di qualità ce ne sarebbero: Jail, con JAY-Z, è il pezzo forte della prima parte. Abbiamo poi la commovente Come To Life e Hurricane, collaborazione col sempre ottimo The Weeknd, che spiccano. Interessante anche Jesus Lord. Invece è incomprensibile la presenza dell’insopportabile Donda Chant e dell’inutile intermezzo Tell The Vision. Ancora più incredibile la scelta del rapper di piazzare a fine tracklist, dopo la buona No Child Left Behind, che avrebbe rappresentato un’ottima chiusura di “Donda”, quattro versioni alternative di brani già ascoltati precedentemente: Jail pt.2, Ok Ok pt.2, Junya pt.2 e la lunghissima Jesus Lord pt.2, che nulla aggiungono e anzi danno il palcoscenico a DaBaby e Marilyn Manson, di cui avremmo anche fatto a meno.
Insomma, “Donda” è la perfetta immagine del suo creatore: prolisso, geniale a tratti e insopportabile in altri. Se, come si dice, il CD rappresenta il termine della carriera musicale di West, è una fine ingloriosa; allo stesso tempo, a noi pare di assistere ad un crollo nervoso in diretta, un qualcosa che forse va al di là della nostra comprensione ma che mette a serio rischio la salute di Kanye West. È davvero questo che critica e pubblico vogliono da lui?
Voto finale: 6,5.
Drake, “Certified Lover Boy”
Guardate la copertina: se vi dicessimo che è stata realizzata dal celebre artista inglese Damien Hirst, cambierebbe l’opinione che probabilmente vi siete fatti? La bruttezza della cover, tuttavia, non deve per forza implicare un CD scadente; allo stesso modo, da un perfezionista come Drake ci aspetteremmo maggiore cura… oppure è tutto una gigantesca presa in giro?
Il dubbio viene ascoltando Way 2 Sexy e vedendone il video promozionale: uno dei featuring più attesi, Drake + Future + Young Thug, si risolve in una canzone davvero imbarazzante, che campiona I’m Too Sexy, la hit dei Right Said Fred, per costruirci sopra un orrido pezzo trap, con testo a metà tra il ridicolo e il volgare. Sentendo poi Girls Want Girls, con Lil Baby, il ribrezzo aumenta: “Said that you a lesbian, girl me too, ayy” è il verso che ci fa capire che c’è qualcosa che non va in Aubrey Graham.
Perché qui sta il problema: Drake, malgrado il grande successo che lo ha baciato fin dall’esordio “Thank Me Later” (2010), è un uomo insicuro e malinconico. Nei suoi dischi è sempre stato evidente il lato più pop e gaudente, ma c’era quel retrogusto di vanità che restava, anche a causa di testi spesso fin troppo espliciti e indicatori di una vita privata quantomeno “variegata”, forse troppo. Questa malinconia di fondo è evidente lungo tutto “Certified Lover Boy”, malgrado le canzoni a volte assurde presenti nella tracklist. Ed è un peccato, perché all’interno del CD ci sono comunque delle tracce valide.
Ci eravamo lasciati, in effetti, con di fronte un Drake in buona forma: sia il mixtape “Dark Lane Demo Tapes” (2020) che l’EP “Scary Hours 2” dello scorso marzo avevano presentato il consueto pop-rap del Nostro, però cambiato il giusto per non sembrare derivativo. Il problema è che “Certified Lover Boy”, che il canadese aveva promesso sarebbe stato considerevolmente più breve del precedente “Scorpion” (2018), è invece prolisso: 21 canzoni, 86 minuti di ruminazioni sulla lealtà, il sesso e gli amori fuggevoli di una sola persona, peraltro non proprio facile a livello di immedesimazione, sono davvero troppo, per chiunque. Non è un caso che questo sia il CD con le peggiori recensioni ad oggi nella carriera di Drake, malgrado gli streaming poderosi.
Musicalmente, dicevamo, è un peccato vedere uno dei rapper più talentuosi della sua generazione perdersi in una sorta di imitazione del Drake che meravigliò il mondo con “Take Care” (2011) e “Nothing Was The Same” (2013). Alcuni brani sono buoni: Champagne Papi, Love All (con JAY-Z) e Fair Trade sono contrastati da flop come le già citate Girls Want Girls e Way 2 Sexy. Allo stesso tempo, nella seconda parte, No Friends In The Industry e 7am On Bridle Path sono ok, mentre sono puro riempitivo sia Race My Mind che Get Along Better.
Come sempre, infine, testualmente Drake è un’arma che sa ferire con la sua sincerità (“My soul mate is somewhere out in the world just waiting for me… My heart feel vacant and lonely” canta in Champagne Papi) e attirare risate facendo il finto duro (“Said you belong to the streets, but the streets belong to me… It’s like home to me”, Pipe Down). Altrove abbiamo dimostrazioni di fragilità, sia in Love All: “Loyalty is priceless and it’s all I need”, che in Fair Trade: “I’ve been losing friends and finding peace. Honestly that sounds like a fair trade to me”.
Ci eravamo lasciati alla fine della recensione di “Scorpion” con questa frase: “Abbiamo la sensazione che il prossimo sarà il CD della verità, per lui e per i suoi fans.” L’impressione è confermata: “Certified Lover Boy” è stato scritto, secondo noi, puramente per compiacere i fan. Drake è bloccato in una inerzia negativa e dannosa per la qualità dei suoi componimenti: per quanto tempo il patto col pubblico può durare? Staremo a vedere, però una cosa va detta: di questo passo, l’artista più significativo della decade 2010-2019 (almeno secondo Billboard) rischia di avere imboccato troppo presto il viale del tramonto.
Voto finale: 5,5.