Cosa ci eravamo persi?

Il 2022 è un anno ricchissimo di uscite musicali importanti, a volte addirittura fondamentali. Basti pensare agli artisti che hanno pubblicato CD nei mesi scorsi: Kendrick Lamar, Beach House, Big Thief, The Weeknd, Beyoncé, Jack White… è normale che qualche uscita di rilievo sia stata tralasciata al tempo della pubblicazione. Nulla è perduto, però: chi segue A-Rock da un po’ sa che ogni anno pubblichiamo un resoconto dei dischi che i nostri radar non hanno intercettato in precedenza. Quest’anno analizziamo i nuovi LP delle Let’s Eat Grandma, di Conway The Machine e billy woods. Inoltre, spazio a King Gizzard & The Lizard Wizard, SAULT e Yaya Bey. Buona lettura!

SAULT, “AIR”

air

Il sesto album in tre anni del collettivo inglese, oltre a denotare una produttività davvero notevole, amplia drasticamente la loro palette sonora: se nel passato i SAULT erano conosciuti per un solido mix di funk, R&B e soul, con grande attenzione alla storia e cultura black in senso lato nelle loro liriche, “AIR” è un CD puramente strumentale, o quasi.

I SAULT, in effetti, flirtano con la musica classica: il lavoro pare quasi una colonna sonora per un film (ancora?) non prodotto. È un po’ come se i Coldplay componessero un LP hard rock: ok la sperimentazione e l’ambizione, ma i risultati sono accettabili?

La risposta è un convinto sì. Pur suonando davvero sorprendente a chi conosce i SAULT fin dalle loro origini, “AIR” è un bel CD, coraggioso ma non per questo eccessivamente ardito, a tratti davvero magistrale. I migliori pezzi sono Heart e la title track, mentre sotto la media è Solar, un po’ troppo tirata per le lunghe.

In generale, dunque, i SAULT si confermano tanto misteriosi quanto creativamente al top. Il misterioso gruppo inglese, capeggiato dal produttore Inflo, ha creato con “AIR” un lavoro non per tutti, ma che merita sicuramente almeno un ascolto.

Voto finale: 8.

Conway The Machine, “God Don’t Make Mistakes”

god don't make mistakes

Il nuovo lavoro di Conway The Machine è un concentrato di ottimo gangsta rap. Spesso appoggiato da ospiti di spessore, tra cui ricordiamo Rick Ross, Lil Wayne e T.I., oltre che dalla produzione di The Alchemist, il rapper originario di Buffalo ha prodotto uno dei migliori CD hip hop del 2022.

Il risultato è possibile grazie principalmente a due fattori: basi potenti, spesso con lo sguardo puntato sul passato piuttosto che sulle ultime tendenze musicali; e testi candidi, che aprono prospettive sulle molte tragedie affrontate da Conway nel corso di una vita davvero difficile, caratterizzata da crimine, abuso di droghe e morti di persone a lui vicine.

Prova ne sia Guilty, che contiene il seguente, scioccante verso: “No feeling in my legs, I took a bullet in the head, nigga”; invece Stressed contiene parole più desolate e pessimiste: “Life is ‘bout trials and tribulations and overcomin’ obstacles, but I’m tired of shit I’m facin’”. In generale, Conway si inserisce abilmente in quel filone di rap “revivalista” della scuderia Griselda, fondata dal fratello Westside Gunn, che mantiene alta la bandiera del rap East Coast: i risultati non saranno ovviamente innovativi, ma “God Don’t Make Mistakes” resta un buon CD.

In conclusione, il 2022 si sta rivelando un anno interessante per l’hip hop: se nel versante più commerciale abbiamo assistito a grandi successi di pubblico, di qualità non sempre accettabile (Drake, Jack Harlow), il lato più “conscious” ha avuto highlight come il nuovo Kendrick Lamar e Conway The Machine. “God Don’t Make Mistakes” non è un capolavoro, ma brani come Piano Love e John Woo Flick non lasciano indifferenti.

Voto finale: 8.

King Gizzard & The Lizard Wizard, “Omnium Gatherum”

omnium gatherum

Il ventesimo album in dieci anni (sì, è proprio così) della band australiana è, come da titolo, un coacervo di generi disparati: psichedelia (The Dripping Tap, Persistence), metal (Gaia, Predator X), funk (Ambergris), hip hop (Sadie Sorceress, The Grim Reaper)… una vera e propria odissea, che va avanti per ben 80 minuti! I risultati, come prevedibile, non sono sempre all’altezza, ma “Omnium Gatherum” resta un album godibile, il cui minutaggio non influenza eccessivamente il prodotto finale.

L’intera prima facciata del vinile di “Omnium Gatherum” (traducibile dal latino come “il contenitore che raccoglie tutto”) è occupata da The Dripping Tap: un inno ambientalista di stampo psichedelico di ben 18 minuti, in cui tutta la band dà il meglio e che è, a tutti gli effetti, uno dei migliori brani mai scritti dai King Gizzard & The Lizard Wizard. Il CD però, come già detto, non segue la traiettoria tracciata da The Dripping Tap: se è vero che le seguenti, ottime Magenta Mountain e Kepler-22b sono psichedeliche al punto giusto, abbiamo poi un potente pezzo thrash metal come Gaia e, da lì in poi, suona una sorta di liberi tutti per gli australiani.

I brani migliori sono le già citate The Dripping Tap e Magenta Mountain, buone anche Kepler-22b e Presumptuous, mentre deludono The Garden Goblin e Blame It On The Weather. In molte canzoni fanno capolino le istanze ambientaliste tipiche del complesso aussie, ad esempio Evilest Man se la prende con l’australiano che maggiormente inquina il mondo, vale a dire Rupert Murdoch. Invece Ambergris è narrata dalla prospettiva di una balena che preferisce essere arpionata piuttosto che nuotare negli oceani inquinati che la circondano.

In generale, il gruppo australiano ha chiaramente fatto piazza pulita dei propri archivi con “Omnium Gatherum”, che resta quindi una summa di quanto i King Gizzard & The Lizard Wizard sanno fare meglio: rock and roll senza freni, sperimentando qualsiasi ritmo e sound di loro gusto. Non staremo parlando di altri album doppi che hanno fatto la storia della musica come “London Calling” oppure “Sign O’ The Times”, ma “Omnium Gatherum” resta uno dei migliori LP rock del 2022.

Voto finale: 8.

Let’s Eat Grandma, “Two Ribbons”

two ribbons

Giunte al terzo album, le due cantautrici inglesi Jenny Hollingworth e Rosa Walton, in arte Let’s Eat Grandma, mantengono lo stile pop alternativo che contraddistingueva “I’m All Ears” (2018), l’album che aveva messo la band sulla bocca di molti. Non tutto funziona a meraviglia, ma la maturità con cui Hollingworth e Walton affrontano temi difficili come la morte prematura di una persona cara e le prime crepe nella loro amicizia ne fa consigliare l’ascolto.

Il primo fatto che balza all’occhio è la concisione del CD: dieci brani, di cui due intermezzi, per 38 minuti complessivi, potrebbero essere considerati da molti fan delle Let’s Eat Grandma non abbastanza, dopo ben quattro anni di assenza. Tuttavia, la coesione del lavoro e la bellezza di pezzi come Hall Of Mirrors e la frizzante Happy New Year sono punti a favore di “Two Ribbons”.

Dicevamo che il lavoro affronta tematiche delicate: Jenny Hollingworth ha visto morire il giovanissimo fidanzato a causa di una rara forma di tumore. Inoltre, Jenny e Rosa si sono progressivamente allontanate durante il tour a supporto del precedente CD “I’m All Ears” e hanno composto le canzoni individualmente per la prima volta nella loro carriera. Non parliamo quindi di un “ordinary pain”, come viene cantato amaramente in Insect Loop; altrove abbiamo immagini di pioggia che cade mentre si è in sala d’attesa all’aeroporto (Hall Of Mirrors) e viaggi lunghi ed epici, coronati dalla spiacevole sensazione di non stare bene con il compagno di viaggio (Sunday).

In conclusione, “Two Ribbons” è un CD importante nella carriera delle Let’s Eat Grandma: Jenny Hollingworth e Rosa Walton sono ormai mature, ma hanno passato delle cose che le hanno radicalmente cambiate, tanto da mettere a rischio il futuro della band. Vedremo i prossimi anni dove le condurranno; di certo questo non è un cattivo lavoro. Forse è inferiore a “I’m All Ears”, ma il talento di Jenny e Rosa è indiscutibile.

Voto finale: 7,5.

Yaya Bey, “Remember Your North Star”

remember your north star

Il nuovo disco dell’artista originaria di Brooklyn espande ulteriormente un’estetica che già si era ben delineata nel precedente “Madison Tapes” (2020) e nell’EP “The Things I Can’t Take With Me” (2021). R&B, soul e reggae si mescolano abilmente nel corso di “Remember Your North Star”, che nei suoi momenti migliori è davvero riuscito; purtroppo, alcuni problemi di sequenziamento lo rendono imperfetto.

Il CD, infatti, si articola in 34 minuti distribuiti su ben 18 canzoni, almeno formalmente; in realtà, molte di queste sono solamente dei bozzetti, che non raggiungono nemmeno un minuto di lunghezza. È questo il caso di libation, it was just a dance, uh uh nxgga, i’m certain she’s there ed either way. Se poi aggiungiamo un altro paio di brani che a malapena superano i 60 secondi, capiamo che la struttura del lavoro è davvero frammentata.

Questo è l’unico vero problema di un LP, per altri versi, davvero buono: pezzi come keisha e reprise sono davvero di alto livello e fanno capire il grande potenziale di Yaya Bey. Menzione anche per nobody knows.

Anche testualmente, inoltre, “Remember Your North Star” contiene molti versi davvero evocativi: “I am the daughter of a girl who could go missing for seven years, thirty-one years… And the world wouldn’t skip a beat” (i’m certain she’s there) è forse il più toccante, mentre “I done worked my whole life and I still ain’t rich” (nobody knows) contiene una denuncia del sistema capitalista. Altrove troviamo poi riferimenti piuttosto espliciti al sesso, a testimonianza di una varietà di stili e registri che rende il CD curioso e sempre coinvolgente.

In conclusione, le poche tracce davvero compiute di “Remember Your North Star” rendono manifesto il talento compositivo di Yaya Bey. Peccato, come già accennato, per la struttura davvero dispersiva del lavoro, ma ad A-Rock siamo convinti che davanti alla Nostra si stagli una brillante carriera.

Voto finale: 7,5.

billy woods, “Aethiopes”

Aethiopes

Il nuovo disco del rapper newyorkese è un CD difficile, fatto di beat duri e ben poco commerciali; billy woods si conferma, tuttavia, uno dei migliori della scena hip hop più sperimentale. Aiutato dalla produzione precisa di Preservation e da ospiti di livello assoluto come El-P (metà dei Run The Jewels) e Boldy James, riesce a confezionare un lavoro breve e, proprio per questo, privo del filler che spesso troviamo in album ben più mainstream.

Molti conosceranno billy woods come metà del progetto Armand Hammer, assieme ad E L U C I D. woods però ha alle spalle una carriera di rilievo, soprattutto per la scena sperimentale dell’hip hop, grazie a lavori diventati cult come “History Will Absolve Me” (2012). I suoi testi hanno sempre un retrogusto amaro, fatto di proclami politici ma anche analisi sociale. Cose non nuove nello scenario hip hop statunitense, ma narrate con onestà e senza lasciare nulla di poco chiaro: anche i dettagli più crudi non vengono tralasciati nelle sue canzoni.

Musicalmente, invece, come già accennato il CD è un buon lavoro di hip hop astratto e sperimentale: le basi alternano jazz (Haarlem) con momenti più introspettivi e raccolti (Asylum). Soprattutto la prima parte risulta dura da assimilare, anche dopo ripetuti ascolti; invece, da Christine in poi abbiamo pezzi più accessibili. I migliori sono Wharves, Protoevangelium e Smith + Cross, mentre deludono No Hard Feelings e The Doldrums, entrambe caratterizzate da basi un po’ monotone.

In generale, billy woods è un nome non per tutti. Non siamo di fronte a un LP facile, anzi vale il contrario; tuttavia, “Aethiopes” un ascolto lo merita. Aspettiamo con impazienza, ad ogni modo, la prossima prova degli Armand Hammer, che ci hanno regalato i migliori momenti recenti a firma billy woods.

Voto finale: 7,5.

Rising: Chat Pile

chat pile

I Chat Pile.

L’esordio della band originaria degli Stati Uniti era degno di una puntata delle rubrica Rising, che ad A-Rock rappresenta una sorta di “tagliando” per la qualità di un giovane artista. Ma andiamo con ordine e analizziamo “God’s Country”, uno dei più brutali album rock del 2022.

Chat Pile, “God’s Country”

god's country

I Chat Pile sono un quartetto statunitense, proveniente da uno degli Stati americani più desolati, l’Oklahoma. Tratti peculiari: terra di minatori, città abbandonate, gravi disuguaglianze… insomma, un incubo, secondo quanto descritto dalla band.

“God’s Country” è un CD potente: metal, noise rock e punk si mescolano in molte tracce, grazie ad una base strumentale sempre efficace ed aggressiva e alla voce di Raygun Busch, a volte cupissima e altre espressiva come quella del miglior Trent Reznor.

Abbiamo poi canzoni che parlano di macellerie, ma forse accennano anche alle stragi compiute con sempre maggiore frequenza (Slaughterhouse); inni di protesta contro i crescenti problemi ad avere una casa propria (Why); Pamela, infine, tratta di un padre che, nell’illusione di poter tornare con la moglie, ammazza il proprio figlio. Menzione da questo punto di vista per alcuni versi contenuti nelle tracce che compongono “God’s Country”: “All the blood, all the blood… And the fuckin’ sound, man” (Slaughterhouse); “Broken faces and jamming fingers and goddamn dust in my eyes for the rest of my life” (The Mask); e infine “It’s the sound of a fuckin’ gun, it’s the sound of your world collapsing” (Anywhere).

Insomma, un LP non per deboli di cuore, sia musicalmente che liricamente. I Chat Pile, del resto, non vogliono scrivere canzoni commerciali, malgrado pezzi come Anywhere e Pamela siano, tutto sommato, appetibili anche ad un pubblico non di nicchia. Lo scopo della band, come dichiarato in varie interviste, è in realtà quello di catturare l’ansia e la paura di vedere il mondo che si autodistrugge, a causa dell’attività umana. Menzione, infine, per la folle cavalcata finale di grimace_smoking_weed_jpeg; meno comprensibile, invece, il momento intimista di I Don’t Care If I Burn.

L’estate 2022 è stata, in effetti, un periodo tragico sotto vari punti di vista, non ultimo quello ambientale, che ha fatto capire una volta per tutte i danni che i cambiamenti climatici stanno avendo sulla nostra vita di tutti i giorni. “God’s Country”, pur essendo un titolo molto americano, in realtà è riferibile a molti Paesi: i Chat Pile, pur con un sound ancora da raffinare e una rabbia che terrà lontano il pubblico più mainstream, lo hanno capito e hanno composto una colonna sonora terribile, ma proprio per questo azzeccata.

Voto finale: 8.

Il maestoso (e complesso) ritorno di Beyoncé

Da dove cominciamo? “RENAISSANCE” segna il ritorno della vera regina del pop degli ultimi 10 anni, se escludiamo il CD collaborativo col marito JAY-Z “Everything Is Love” (2018) e il CD-video live “Homecoming” del 2019. Queen Bey pare decisa a far rinascere in noi la voglia di ballare: il sound del disco è apertamente dance e house, con le consuete inflessioni R&B (PLASTIC OFF THE SOFA) e hip hop, soprattutto in certe basi (CHURCH GIRL).

Sia chiaro: stiamo parlando di un disco pop, ma la tracklist da 16 canzoni e 62 minuti lascia inevitabilmente spazio ad episodi più deboli (ENERGY). In generale, però, resta da ammirare la presenza di Beyoncé: la voce è ai suoi livelli migliori, la produzione immacolata, la varietà di suoni invidiabile. Non tutto gira a meraviglia, ma i risultati di “RENAISSANCE” restano impressionanti.

“Lemonade” aveva del tutto travolto la scena pop nell’ormai lontano 2016: Beyoncé aveva messo in musica il senso di tradimento patito a seguito dei numerosi flirt del marito JAY-Z, con canzoni indimenticabili come Sorry e Don’t Hurt Yourself. Da questo punto di vista, “RENAISSANCE” suona molto più rilassato: i testi spesso sono solamente degli appoggi per delle irresistibili melodie house (BREAK MY SOUL) e funk (VIRGO’S GROOVE).

renaissance

Se proprio vogliamo trovare un fil rouge, è la celebrazione della black music in ogni sua espressione: dalle collaborazioni con nomi importanti come The-Game e Grace Jones, passando per nomi più oscuri come Kilo Ali e Lidell Townsell. In più, abbiamo la menzione di figure della musica underground come l’artista trans Honey Dijon, che fanno capire l’intenzione di schierarsi a favore di ogni tipo di diversità da parte di Queen Bey, già emersa nei suoi passati LP e in numerose dichiarazioni pubbliche.

I pezzi migliori sono la doppietta VIRGO’S GROOVEMOVE, piazzate a centro disco ma non per questo trascurabili; buone anche PURE/HONEY, CUFF IT e SUMMER RENAISSANCE. Invece sotto la media ENERGY e CHURCH GIRL. Menzione finale per il parco ospiti e collaboratori: oltre alle figure già citate, abbiamo superstar come Drake, Skrillex, JAY-Z e A.G. Cook del collettivo PC Music.

La conclusione? Non stiamo forse parlando del miglior lavoro a firma Beyoncé, ma “RENAISSANCE” conferma tutto il talento della popstar statunitense. Considerando che, in vari post apparsi sui suoi social a seguito della pubblicazione del lavoro, si parla di una trilogia di cui “RENAISSANCE” sarebbe il primo capitolo, la trepidazione per i nuovi lavori della regina del pop moderno è altissima.

Voto finale: 8.