Gli Arctic Monkeys non sbagliano una mossa

arctic

Gli Arctic Monkeys.

A quattro anni dal bizzarro “Tranquility Base Hotel & Casino”, gli Arctic Monkeys sono tornati. La rock band inglese, tra le più importanti degli scorsi venti anni, è ormai abituata a stupire i propri ascoltatori: dopo aver fatto scalpore con un garage rock energico nei primi due lavori “Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not” (2006) e “Favourite Worst Nightmare” (2007), hanno poi virato verso territori più sperimentali in “Humbug” (2009) e verso il britpop (“Suck It And See”, 2011). La vera svolta arrivò con il successo mondiale di pubblico e critica di “AM” (2013), fatto di pezzi hard rock (Arabella) tanto quanto romantici (I Wanna Be Yours), spesso intervallati da inserti R&B (One For The Road).

Come seguire un tale inizio di carriera? Alex Turner e compagni optarono per cambiare completamente percorso; e la svolta resta viva ancora oggi. “Tranquility Base Hotel & Casino” era in sostanza un album lounge pop, basato su una storia di colonizzazione lunare e strani personaggi che popolavano il bar più popolare del luogo… insomma, cose che solo una mente geniale e un po’ stramba come Turner possono concepire. Musicalmente, tuttavia, si parlava di un buon CD, entrato a far parte dei 50 migliori di A-Rock del 2018 senza problemi. “The Car” prosegue sul percorso intrapreso dal precedente album, migliorando però la qualità media delle melodie e tornando sulla Terra come tematiche affrontate: i risultati sono eccellenti e rendono “The Car” un serio favorito per essere il miglior LP della carriera delle scimmie artiche.

The Car

Sin dai singoli di lancio avevamo intuito il potenziale del CD: There’d Better Be A Mirrorball è un suadente pezzo pop, molto romantico e dal testo evocativo di una recente rottura amorosa; la funky I Ain’t Quite Where I Think I Am è candidata ad essere un pilastro dei futuri concerti della band, ma il pezzo forte è Body Paint, glam rock ai livelli del miglior David Bowie, con grande parte strumentale finale. Tutti e tre sono tra i migliori pezzi del lavoro, ma le sorprese non finiscono qui.

Sculpture Of Anything Goes è infatti il pezzo più claustrofobico dell’intera carriera degli Arctic Monkeys: il ritmo ossessivo trasmette sensazioni di paranoia e paura, fino a fare del pezzo un highlight del CD. Altri episodi convincenti sono la raccolta title track e la trascinante Hello You; unico inferiore alla media è Jet Skis On The Moat. Apprezzabile il lavoro di squadra della band: se il precedente LP poteva sembrare quasi un capriccio di Turner, questa volta Matt Helders (batteria), Jamie Cook (chitarra) e Nick O’Malley (basso) sono fondamentali per la riuscita di tutte le canzoni della compatta tracklist (37 minuti).

I testi sono come sempre un qualcosa di unico: Alex Turner si conferma osservatore inimitabile e, allo stesso tempo, estremamente timido nell’esprimere quello che realmente sente. Se in Body Paint abbiamo uno dei più significativi versi che si possa dire al proprio partner (“And if you’re thinking of me I’m probably thinking of you”), altrove abbiamo riferimenti a spie (Sculpture Of Anything Goes) e pezzi grossi dal passato misterioso (Mr Schwartz). I temi portanti sono, però, il desiderio di avere finalmente l’amore della vita al suo fianco e l’insicurezza che il non averlo provoca (There’d Better Be A Mirrorball).

In conclusione, “The Car” è un album che si fa apprezzare dopo ripetuti ascolti: se all’inizio i fan più rockettari del gruppo britannico potrebbero essere delusi, non va dimenticato che i quattro nativi di Sheffield sono tra i pochi gruppi per cui la formula “non sai mai quello che potrebbero inventarsi” ha davvero significato. Quattro anni fa chiudevamo la recensione di “Tranquility Base Hotel & Casino” dicendo che gli Arctic Monkeys avrebbero potuto tentare una carriera tanto avventurosa e di successo come Blur e Radiohead. Cosa dire? Gli streaming sono ancora maggiori dei loro colleghi; la qualità delle canzoni continua a rimanere altissima… potremmo davvero averci preso, noi di A-Rock.

Voto finale: 8,5.

Rising: Shygirl

Nella nuova puntata della rubrica di A-Rock che si occupa degli artisti emergenti ci occupiamo di Shygirl, una giovane produttrice inglese che sta influenzando fortemente la scena elettronica d’Oltremanica.

Shygirl, “Nymph”

Nymph

In un 2022 sempre più affollato di uscite rilevanti, mancava giusto un esordio di musica elettronica ben fatto. Blane Muise (vero nome di Shygirl) è riuscita nella missione: partendo dalle solide basi dell’EP “ALIAS” (2020) ha costruito un CD pieno di tracce ballabili, ma anche influenzate da hip hop (Shlut) e pop (Firefly).

A colpire maggiormente sono due cose: la capacità di Shygirl di creare un prodotto variegato ma allo stesso tempo coerente; e percepire tante influenze diverse (Jamie xx, Arca…) senza però suonare derivativa.

“Nymph” contiene degli innegabili highlight, soprattutto tra le tracce più oscure e meno commerciali: Woe e Come For Me sono un’ottima doppietta, che apre benissimo il lavoro. Sotto media invece la troppo breve Missin U e Nike, ma non intaccano eccessivamente un CD comunque ben costruito.

Liricamente, pur essendo un album di musica prevalentemente elettronica, “Nymph” conferma il candore di Shygirl nel parlare della propria vita privata e dei propri desideri: “Is it so bad to just like to be touched?” chiede in maniera fintamente innocente in Shlut. Altrove abbiamo poi storie di sesso, come evocato nel titolo di Coochie (A Bedtime Story), che contribuiscono a rendere il disco molto sensuale e pronto a sfondare nelle discoteche di mezzo mondo.

In conclusione, “Nymph” presenta sulla scena una futura protagonista della musica elettronica. Molti critici avevano già messo gli occhi su Blane Muise, ma immaginarla capace di creare un LP così coeso e ben strutturato non era scontato. Shygirl si candida ad essere un nome importante della musica del futuro.

Voto finale: 7,5.

Recap: settembre 2022

Settembre è stato un mese molto importante. Abbiamo infatti recensito i nuovi lavori del rapper Freddie Gibbs e di Sudan Archives. Inoltre, spazio all’esordio da solista di Oliver Sim e ad Alex G. Come tralasciare, poi, gli attesissimi ritorni di Björk e degli Yeah Yeah Yeahs? Infine, abbiamo analizzato il secondo lavoro di Rina Sawayama, quello di Djo e il ritorno dei Suede. Buona lettura!

Björk, “Fossora”

fossora

Il decimo album dell’artista islandese più nota al mondo continua la sua ricerca del perfetto album art pop. Mescolando temi mondani come il Covid-19 e il lutto passato per la morte della madre Hildur, Björk ha creato un altro CD squisito, sulle tracce dei migliori della sua produzione e un netto progresso rispetto al precedente “Utopia” (2017).

Questa volta l’artista islandese ha privilegiato i bassi e i clarinetti, creando atmosfere accessibili (Ancestress) e allo stesso tempo oscure (Atopos), con momenti di puro sperimentalismo (Mycelia). I risultati sono in generale incredibili: nei suoi momenti più riusciti “Fossora” arriva molto vicino alle vette di “Post” (1995) e “Homogenic” (1997), i due LP più celebrati della Nostra. Prova ne siano Atopos e la title track.

Il tema portante, sia della cover che di molti titoli, sono i funghi. Se “Utopia” era un album che dedicava molto spazio all’amore e all’aria come elemento naturale, “Fossora” (parola inventata da Björk che significa, dal corrispettivo latino maschile, “scavatrice”) è invece dedicato alla terra e scava nei rapporti familiari.

Dicevamo che gli argomenti principali del lavoro sono due: la pandemia e la morte della madre. Björk evoca spesso la figura di quest’ultima, con versi spesso toccanti: “Did you punish us for leaving? Are you sure we hurt you? Was it just not ‘living?’” (Ancestress); “Rejection left a void that is never satisfied, sunk into victimhood… Felt the world owed me love” (Victimhood). Il verso più bello è contenuto nella conclusiva Her Mother’s House: “When a mother wishes to have a house with space for each child, she is only describing the interior of her heart”. A rafforzare il sentimento di famiglia che pervade “Fossora”, Björk canta con la collaborazione, oltre che di serpentwithfeet (Fungal City), dei figli Sindri (Ancestress) e Isadora (Her Mother’s House).

Esclusi i due intermezzi Fagurt Er Í Fjörðum e Mycelia, eccessivamente brevi per lasciare traccia, il CD scorre benissimo, malgrado stiamo parlando di un lavoro per palati fini, amanti dell’elettronica più sperimentale e del pop più raffinato. “Fossora” è un highlight di una carriera già piena di dischi imprescindibili: Björk si conferma nome ormai leggendario.

Voto finale: 8,5.

Yeah Yeah Yeahs, “Cool It Down”

cool it down

Il primo CD in nove anni per la storica band newyorkese, una delle più autorevoli ad emergere nei primi anni ’00, è una ventata di aria fresca in una carriera che pareva aver dato il meglio. “Mosquito” (2013), l’ultimo album di inediti prima di “Cool It Down”, è visto infatti da molti come il peggiore della loro produzione; è un piacere che “Cool It Down” riesca dal canto suo a rinverdire i fasti del complesso capeggiato da Karen O.

I due singoli di lancio del lavoro erano del resto davvero invitanti: sia Spitting Off The Edge Of The World (che vanta la collaborazione di Perfume Genius) che Burning sono infatti ottimi pezzi indie rock, il primo reminiscente dei migliori M83 e il secondo invece dell’indie di inizio millennio. Non tutto gira a meraviglia nel CD nel suo complesso, ma i 32 minuti di “Cool It Down” scorrono piacevolmente, rendendolo imperdibile per gli amanti dell’indie rock.

La prima parte dell’album è pressoché impeccabile: oltre alle già citate Spitting Off The Edge Of The World e Burning, le due tracce Wolf e Fleez, tra le più danzerecce del lotto, fanno il loro lavoro e rendono il CD dinamico e variegato. I problemi cominciano con Different Today, in cui la cantante degli Yeah Yeah Yeahs Karen O si limita a ripetere il titolo senza molto costrutto. Peccato poi per la conclusiva Mars, quasi troncata, che fa terminare il lavoro in modo non soddisfacente.

Questi difetti non sono, tuttavia, dirimenti per il giudizio complessivo su “Cool It Down”. Il CD ristabilisce gli Yeah Yeah Yeahs tra gli alfieri dell’indie rock, dopo anni in cui davamo la band per morta. Karen O e compagni non saranno al top della forma, per esempio ai livelli dell’esordio “Fever To Tell” (2003) o di “It’s Blitz” (2009), però “Cool It Down” è a pieno titolo un buon rientro nella scena musicale.

Voto finale: 8.

Sudan Archives, “Natural Brown Prom Queen”

Natural Brown Prom Queen

Il secondo CD dell’artista Brittney Parks, meglio nota col nome d’arte Sudan Archives, è un ottimo esempio di R&B alternativo. Brittney usa infatti basi molto elettroniche, che poco hanno a che spartire col pop, creando un insieme di composizioni coeso e, nei suoi momenti migliori, irresistibile.

La violinista e cantautrice si era fatta conoscere negli anni scorsi grazie ad EP di ottima fattura, come “Sudan Archives” (2017) e “Sink” (2018). L’esordio “Athena” del 2019 non aveva fatto altro che ribadire il grande talento della Nostra. “Natural Brown Prom Queen” rifinisce ulteriormente questo sound: va detto che, in questa nicchia di R&B, nessuna suona come lei.

Abbiamo infatti altri artisti, come Kelela e Steve Lacy, entrambi catalogabili come R&B alternativo e dotati di una propria identità, la prima più misteriosa e il secondo invece mainstream; nessuno dei due, tuttavia, suona come Sudan Archives. Merito di una continua voglia di sperimentare, con bassi potenti sempre in evidenza e canzoni polimorfe come OMG BRITT e ChevyS10, che sorprendono anche dopo ripetuti ascolti.

Anche testualmente, “Natural Brown Prom Queen” ricalca alcune tematiche care a Parks: l’empowerment (“I’m not average” ripete ossessivamente in NBPQ (Topless)), polemiche sulle differenze di trattamento tra ragazze nere e bianche (“Sometimes I think that if I was light-skinned then I would get into all the parties, win all the Grammys, make the boys happy”, sempre in NBPQ (Topless)).

Se vogliamo trovare un difetto a “Natural Brown Prom Queen”, è l’eccessiva lunghezza: alcune canzoni, soprattutto verso il finale (Flue, Homesick (Gorgeous & Arrogant)), sono evitabili e non aggiungono nulla al CD. D’altra parte, pezzi come Home Maker e Selfish Soul sono highlight assoluti e rendono questo lavoro imprescindibile per gli amanti della musica nera.

In conclusione, Sudan Archives si conferma artista di grande talento: Brittney Parks è un nome ancora poco noto, ma ha tutte le carte in regola per costruirsi una più che solida fanbase.

Voto finale: 8.

Suede, “Autofiction”

Autofiction

Il nuovo album dei britannici Suede, band un tempo simbolo del britpop assieme ai più noti Oasis e Blur, è un’iniezione di energia nella loro estetica: post-punk e rock alternativo fanno capolino più di una volta nel corso delle 11 canzoni che compongono “Autofiction”, rendendolo un CD tradizionale per molti, ma innovativo per i Suede. Non male, per un complesso sulla cresta dell’onda da trent’anni.

Il quarto album dopo la reunion del 2013 è uno dei migliori della loro produzione: compatto, con base ritmica in bella vista, la bella voce di Brett Anderson al meglio… In più mettiamoci melodie vincenti come She Still Leads Me On e 15 Again e abbiamo un quadro più che roseo. L’usuale attenzione all’estetica glam rock è affiancata, come già accennato, da generi più muscolari; sono proprio i brani più britpop, come That Boy On The Stage e Drive Myself Home, ad essere inferiori alla media. Tuttavia, i risultati restano complessivamente buoni.

I Suede si confermano quindi gruppo imprescindibile per la scena rock britannica: Anderson e compagni sono sopravvissuti a molti eventi potenzialmente devastanti nel loro passato, tra cui l’abbandono del primo chitarrista Bernard Butler negli anni ’90 e una prima spaccatura della band nei primi anni ’00. “Autofiction” è un documento di artisti al picco delle proprie capacità: forse non siamo ai livelli di “Suede” (1993) o “Dog Man Star” (1994), ma il CD resta davvero riuscito.

Voto finale: 8.

Alex G, “God Save The Animals”

God Save The Animals

Il decimo disco di inediti di Alex Giannascoli, tornato a chiamarsi Alex G dopo la breve parentesi col nickname (Sandy) Alex G, prosegue nel solco tracciato dai suoi CD più recenti, vale a dire “Rocket” (2017) e “House Of Sugar” (2019): un indie rock eccentrico, spesso virato sul folk à la Animal Collective (S.D.O.S). I risultati forse non raggiungono le vette dei suoi migliori lavori, ma “God Save The Animals” resta un buon disco indie.

Il titolo del CD può far pensare ad un inno ambientalista, forse contenente riferimenti al sacro. In realtà, come Alex ci ha abituato, “God Save The Animals” ha solo in parte gli animali e la natura al centro del palcoscenico. Troviamo infatti riferimenti più personali, ad esempio in Cross The Sea (“You can believe in me”) e in Ain’t It Easy (“Now you sit with me, I keep you safe”).

Le canzoni, dal canto loro, sono infarcite, spesso anche eccessivamente, di autotune: Alex Giannascoli non si era mai distinto per un uso di questo strumento, ma nel corso di “God Save The Animals” l’autotune diventa la maggiore innovazione nella palette sonora utilizzata dal Nostro. Si ascoltino ad esempio Cross The Sea e la danzereccia No Bitterness. I migliori pezzi sono Runner e Ain’t It Easy, mentre sotto la media restano S.D.O.S e Headroom Piano.

In conclusione, “God Save The Animals” conferma la fama di autore misterioso guadagnata da Alex G lungo una carriera accidentata e prolifica: i testi rimangono criptici, le melodie sguazzano nell’indie per poi virare improvvisamente verso folk ed elettronica… insomma, il lavoro non brilla per coerenza, ma prosegue con successo una carriera sempre più interessante.

Voto finale: 7,5.

Rina Sawayama, “Hold The Girl”

hold the girl

Il secondo CD della cantautrice anglo-giapponese riparte da dove l’interessante esordio “SAWAYAMA” (2020) era finito, con qualche aggiustamento stilistico. Se infatti quest’ultimo lavoro incrociava con successo metal e pop da classifica, “Hold The Girl” è decisamente meno sperimentale, cercando piuttosto dei punti di contatto con il pop-rock il rock alternativo à la Nine Inch Nails.

Questa svolta verso generi meno disparati rispetto all’esordio farà storcere il naso ai fan più ricercati di Rina; tuttavia, “Hold The Girl” non è un CD da buttare: brani come la title track e Frankenstein sono riusciti e faranno la fortuna di Sawayama dal vivo. Invece i pezzi più prevedibili, come Send My Love To John e Forgiveness, abbassano la media voto del lavoro.

Va detto, poi, che il cocktail sonoro di questo lavoro potrebbe essere troppo variegato per molti: pop à la Lady Gaga (Hold The Girl, This Hell), la trance di Holy (Til You Let Me Go) e i rimandi al rock alternativo di Your Age convivono nello stesso CD… come già in “SAWAYAMA”, la coesione non è il punto forte di Rina, tuttavia “Hold The Girl” non perde mai la bussola.

Il CD, anche liricamente, mescola molti temi cari alla Nostra: istanze femministe (“Fuck what they did to Britney, to Lady Di and Whitney” canta in This Hell), difesa delle minoranze (Frankenstein)…

Insomma, Rina Sawayama si conferma figura sicura di sé e pronta a spiccare il grande salto verso il pop mainstream: la qualità delle canzoni di “Hold The Girl” non sempre raggiunge i buonissimi livelli di “SAWAYAMA”, ma questo disco potrebbe essere un discreto punto di partenza per ulteriori mutazioni negli anni a venire.

Voto finale: 7,5.

Freddie Gibbs, “$oul $old $eparately”

soul sold separately

Il nuovo lavoro del prolifico rapper Freddie Gibbs è il suo primo vero tuffo nel mainstream. Con ospiti e produttori di spessore, che vanno da Raekwon a Pusha T, passando per James Blake e Anderson .Paak, Gibbs si apre a nuove influenze oltre al consueto gangsta rap che lo contraddistingue, dalla trap (Pain & Strife) al neo-soul (Feel No Pain). I risultati non saranno sempre ottimi, ma è da ammirare la volontà del Nostro di mettere in discussione la sua consolidata estetica.

Freddie Gibbs è un rapper molto conosciuto per le sue collaborazioni con The Alchemist e Madlib: i suoi migliori lavori sono infatti “Piñata” (2014) e “Bandana” (2019), senza dimenticare il recente “Alfredo” (2020). I suoi flow affilati, spesso basati su temi come la vita nelle strade e gli aneddoti di un passato fatto di droga e violenza, erano affidati a produttori veterani, che flirtavano col jazz e l’hip hop vecchia maniera. Pertanto, sentire tracce accessibili come Too Much è una ventata di aria fresca, anche se poi quest’ultima si rivela tra le più deboli del lavoro.

È vero, infatti, che i migliori pezzi del CD sono quelli che più si collegano al passato di Gibbs: l’iniziale Couldn’t Be Done e Rabbit Vision sono ottime. Invece sottotono Pain & Strife, malgrado la collaborazione di Offset dei Migos. Buone poi Gold Rings e Dark Hearted.

In generale, non sappiamo come interpretare “$oul $old $eparately”: se da un lato il titolo provocatorio farebbe pensare ad una prova destinata a non avere un seguito, la nuova direzione artistica potrebbe avere un payoff in futuro, se messa a fuoco coerentemente. Staremo a vedere; di certo “$oul $old $eparately” conferma il talento e mette in mostra la flessibilità di Freddie Gibbs.

Voto finale: 7,5.

Djo, “Decide”

DECIDE

Il secondo album del progetto Djo, capeggiato dal celebre attore Joe Keery (interprete di Steve Harrington nella serie Stranger Things), è un buon esempio di pop psichedelico. Traendo ispirazione a piene mani da Tame Impala (End Of Beginning, Change) e Daft Punk (I Want Your Video, Climax), “Decide” denota un certo talento per le composizioni veloci e orecchiabili, ma sulla lunga distanza c’è ancora da lavorare.

I 36 minuti di “Decide” scorrono in effetti senza scosse: pop orecchiabile, testi leggeri quando a volte risibili, la voce di Keery spesso trattata con vocoder e autotune… insomma, tutto molto moderno, diciamo che il CD suona come i Tame Impala intorno a “Currents” (2015), senza però le bordate di psichedelia di Kevin Parker.

Djo è chiaramente un progetto non primario nella carriera artistica a tutto tondo di Joe Keery: il personaggio di Steve Harrington gli ha dato meritatamente fama planetaria, la musica è solo un modo per farsi apprezzare ulteriormente. “Decide” dunque non va preso come un manifesto artistico, ma del resto nemmeno l’esordio “Twenty Twenty” (2019) lo era.

In generale, siamo di fronte ad un LP simpatico, nulla di più: pezzi come Half Life e On And On sono interessanti nella loro imprevedibilità, mentre altri come I Want Your Video e Runner sono un po’ monotoni. Inutile, infine, il brevissimo intermezzo Is That All It Takes. “Decide” è in ogni caso godibile e ci fa pensare che vedremo nei prossimi anni altri CD a firma Joe Keery… pardon, Djo.

Voto finale: 7.

Oliver Sim, “Hideous Bastard”

hideous bastard

L’esordio del frontman della celebre band britannica The xx, prodotto interamente dal fidato Jamie xx, è un album molto personale, in cui Sim confessa molti aspetti del suo passato e della sua vita passata che non conoscevamo. Non tutto fila a meraviglia, ma “Hideous Bastard” è un discreto inizio per la sua carriera solista.

Fin dai singoli di lancio avevamo intuito che il CD avrebbe avuto sonorità simili a quelle della band in cui Sim si è fatto le ossa: un pop oscuro, con la sua voce allo stesso tempo monotona ed espressiva a decantare il potere dell’amore tormentato (Hideous, Fruit). Se la sua omosessualità era cosa risaputa, nulla si sapeva invece del fatto che Oliver avesse convissuto con l’HIV dall’età di 17 anni: questo ed altro emerge da testi spesso davvero toccanti.

Ne sono esempi i seguenti versi: “I thought I could survive without letting anyone near… The moment I got that taste I felt naked and afraid” (Saccharine); “What would my father do? Do I take a bite of the fruit? I’ve heard other people say it can’t be right if it causes you shame” (Fruit). In generale, i temi trattati e il mood del disco rendono l’ascolto non sempre facile, però Sim fa di tutto per migliorare il quadro, grazie alla sua bella voce e alla produzione dell’amico Jamie xx.

I momenti migliori sono Sensitive Child, che flirta con l’elettronica, e l’iniziale Hideous; invece, meno riuscite sono Confident Man e Romance With A Memory. Interessante, infine, l’esperimento pop di Run The Credits.

In generale, “Hideous Bastard” è una buona introduzione ad Oliver Sim come cantante solista. Nessuna canzone cattura l’ascoltatore come i migliori momenti di “xx” (2009), il fantastico primo LP dell’omonimo gruppo, ma i risultati sono comunque accettabili.

Voto finale: 7.

Rising: Courting

Courting

I Courting.

Ritorna la rubrica di A-Rock dedicata agli artisti emergenti. La nostra attenzione oggi è per i Courting, band originaria di Liverpool che suona un indie rock molto ibrido, con forti influenze post-punk.

Courting, “Guitar Music”

Guitar Music

Rileggendo i profili della presente rubrica, molti sono dedicati alla debordante scena indie/punk inglese: Fontaines D.C., black midi, shame, Black Country, New Road… i Courting logicamente sono in parte riconducibili ad alcune di queste band, tuttavia hanno cercato di suonare più strani ed originali, riuscendoci per buona parte dei 32 minuti di “Guitar Music”.

Il CD inizia infatti con una distesa di white noise, su cui Cosplay / Twin Cities si dispiega: siamo quasi in territorio glitch pop. In Loaded invece il frontman Sean Murphy-O’Neill affronta una strofa addirittura con l’autotune. Altrove abbiamo momenti più tipicamente rock, come la riuscita Tennis e la trascinante Famous. Menzione, infine, per il britpop di Jumper, degno dei Blur, e la lunga cavalcata di Uncanny Valley Forever. Resta un po’ fuori contesto proprio Cosplay / Twin Cities, dimenticabile anche Crass (Redux). Possiamo dire che, rispetto all’EP di esordio “Grand National” (2021), in “Guitar Music” abbiamo un suono più vario, ma proprio per questo anche più inconsistente.

In generale, “Guitar Music” è sicuramente “musica per chitarra”, come da titolo, tuttavia intesa in senso lato. Sia chiaro, non siamo di fronte ad un album rivoluzionario, ma i Courting senza dubbio cercano di rendere più originale una miscela sonora che sta diventando forse un tantino troppo frequentata Oltremanica. Quando avranno capito con precisione che direzione dare alla loro estetica, saremo probabilmente davanti ad un altro ottimo complesso punk rock britannico.

Voto finale: 7,5.