Recap: aprile 2023

Aprile è terminato. Un mese di buona musica, che ha visto le nuove uscite dei Wednesday, dei The National, dei Metallica e di Feist. Abbiamo inoltre i nuovi EP a firma Angel Olsen e Beach House. Infine, spazio a Jessie Ware, Indigo De Souza e Daughter. Buona lettura!

Jessie Ware, “That! Feels Good!”

that feels good

Il quinto disco della cantautrice inglese prosegue il fortunato filone incominciato nel 2020 con “What’s Your Pleasure?”, migliorando ulteriormente alcuni aspetti e creando, in conclusione, un quasi perfetto album di disco music. Nostalgico? Forse, ma è innegabile l’appeal che la bellissima voce di Jessie e la perfetta produzione hanno anche sull’ascoltatore più casuale.

L’atteggiamento da novella Donna Summer, anche nel tono vocale, dona molto all’estetica di Jessie Ware, una delle artiste che ha contribuito al revival della disco negli ultimi anni, assieme alle superstar Dua Lipa (“Future Nostalgia” del 2020) e Beyoncé (“RENAISSANCE” del 2022). “That! Feels Good” in questo senso non è un disco innovativo, ma perfeziona tutto quello che già di buono c’era in “What’s Your Pleasure?”: la produzione, affidata a James Ford e Stuart Price, è immacolata. Abbiamo anche una traccia paragonabile alla superlativa Spotlight del CD precedente: Begin Again è trascinante allo stesso modo, pressoché intoccabile.

I migliori pezzi di “That! Feels Good!” sono non a caso i singoli di lancio Free Yourself, Pearls e Begin Again. Molto buone anche la più romantica Hello Love e la title track, mentre sotto l’altissima media del CD sono solamente Beautiful People e Shake The Bottle.

Anche liricamente abbiamo versi importanti, che risuonano con molti: la title track declama il manifesto dell’intero LP, “Freedom is a sound, and pleasure is a right”. “I wake up in the morning and I ask myself, ‘What am I doing on this planet?’” (Beautiful People) è invece la descrizione di una sensazione che tutti abbiamo provato, prima o poi.

In poche parole, “That! Feels Good” è uno dei migliori CD pop del 2023 fino ad ora. Tanti potenziali successi, grande coesione, durata ragionevole lo rendono uno dei veri candidati alla top 10 di A-Rock. Jessie Ware si conferma grande cantautrice e nella parte migliore di una carriera ormai lanciatissima.

Voto finale: 8,5.

Wednesday, “Rat Saw God”

rat saw god

Il terzo album dei Wednesday vede la band americana ancora vogliosa di sperimentare con generi tanto diversi come rock, shoegaze e country, con risultati spesso interessanti. In generale, il mondo indie continua a sfornare album rilevanti in questi ultimi tempi, spesso con artiste al comando: basti pensare a Phoebe Bridgers, Mitski, Lucy Dacus e gli Alvvays, tra gli altri.

I Wednesday in effetti si inseriscono in un filone molto prolifico, ma nessuno ad oggi suona come loro: certo, abbiamo elementi dei già menzionati Alvvays (Hot Rotten Grass Smell), così come del grunge anni ’90 (Quarry). Tuttavia, un pezzo epico e proteiforme come Bull Believer è indizio di un talento fuori dal comune. Buone anche la più classicamente indie Chosen To Deserve e Quarry, mentre sotto la media resta Got Shocked, un po’ scontata.

Il CD vale come una sorta di percorso di crescita per la band capitanata da Karly Hartzman: vengono evocati i luoghi della sua infanzia: “We always started by telling our best stories first… Now that it’s been awhile I’ll get around to tellin’ you all my worst”, da Chosen To Deserve, è uno dei manifesti del lavoro. Nella stessa canzone troviamo poi un verso davvero malinconico: “Now all the drugs are gettin kinda boring to me, now everywhere is loneliness and it’s in everything”.

In conclusione, “Rat Saw God” è un gradevole CD indie rock. I Wednesday si confermano ambiziosi e pronti al grande salto: vedremo il futuro dove li condurrà, per il momento godiamoci uno dei migliori LP rock del 2023.

Voto finale: 8.

Indigo De Souza, “All Of This Will End”

all of this will end

Il terzo CD della giovane cantante indie statunitense aggiunge ulteriori livelli di lettura ad un’artista considerata, non a torto, tra le più promettenti della sua generazione. All’indie rock che caratterizzava “I Love My Mom” (2018) ed “Any Shape You Take” (2021) si aggiungono momenti quasi country (Younger & Dumber), che rendono questo lavoro davvero interessante.

Uno degli aspetti interessanti di “All Of This Will End” è che la seconda parte è migliore della prima: un fatto insolito, che dimostra la volontà di De Souza di dare modo all’ascoltatore di apprezzare ogni aspetto del CD, senza presumere nulla. Esemplari in questo caso Not My Body e Younger & Dumber, che chiudono magistralmente “All Of This Will End”, mentre la traccia più debole, Losing, è la terza della tracklist.

Liricamente, si conferma l’innata abilità di Indigo De Souza di indagare sul proprio passato per trarne lezioni di vita: “You came to hurt me in all the right places… Made me somebody” canta orgogliosa in Younger & Dumber. Altrove troviamo riferimenti ad una relazione finita male, in cui però lei prova a perdonare il partner: “I’d like to think you got a good heart and your dad was just an asshole growing up” (You Can Be Mean). Il verso più efficace, sempre su questo tema, è però contenuto in Time Back: “You fucked me up”.

In conclusione, un LP che contiene pezzi riusciti come You Can Be Mean, Smog e Younger & Dumber non può che essere, almeno in parte, riuscito. Non tutto è perfetto in “All Of This Will End”, soprattutto la prima sezione come già accennato, ma Indigo De Souza si conferma cantautrice di assoluto rilievo. Chissà che ancora non debba pubblicare il suo capolavoro…

Voto finale: 8.

Daughter, “Stereo Mind Game”

stereo mind game

Il terzo album della band inglese arriva ben sette anni dopo il precedente “Not To Disappear” (2016), tanto che avevamo perso le speranze di avere un nuovo CD di inediti da parte dei Daughter.

“Stereo Mind Game” continua il percorso dei precedenti lavori degli inglesi: un indie rock pensieroso, con influenze dream pop. Nulla di trascendentale, ma le liriche spesso di alto livello rendono complessivamente il CD un buon prodotto.

Abbiamo chiare similitudini con Florence + The Machine (Dandelion, Be On Your Way), così come con Vampire Weekend (Swim Back) e Beach House (To Rage, Neptune). Ciò non toglie meriti ai Daughter, capaci di creare un LP coeso e molto efficace nei suoi momenti migliori: Be On Your Way e Swim Back sono davvero convincenti. Invece inutili la troppo breve ed eterea Intro e (Missed Calls).

Dicevamo che i testi di “Stereo Mind Game” sono rilevanti in molti frangenti: “I could stop if I want, I just don’t want to yet” (Party) è più che un manifesto. Junkmail contiene invece due versi significativi, per quanto pessimisti e rassegnati: “You can’t edit the scenery to view it better” e “Should I pay for viewing your faint lookalike?”.

In conclusione, “Stereo Mind Game” conferma il talento del gruppo inglese e il carisma della cantante Elena Tonra: l’unica pecca è che, quando sembrano pronti per spiccare il volo, i Daughter non riescono a compiere l’ultimo passo. Il CD resta comunque valido e merita almeno un ascolto.

Voto finale: 7,5.

The National, “First Two Pages Of Frankenstein”

First Two Pages of Frankenstein

Il nono album della band statunitense è il loro lavoro più raccolto e malinconico: per una band che ha fatto proprio della nostalgia e dei toni grigi uno dei suoi tratti caratteristici, il rischio di sfociare nella noia era alto. Aiutati anche da ospiti di spessore (Phoebe Bridgers, Taylor Swift e Sufjan Stevens), però, i The National portano a casa un discreto risultato, anche se non paragonabile ai momenti migliori del gruppo.

Il CD ha un retroterra drammatico: il leader Matt Berninger ha sofferto di depressione e blocco dello scrittore durante il periodo pandemico e ne è guarito solo grazie all’aiuto della famiglia e degli amici. “First Two Pages Of Frankenstein” è perciò il risultato di un processo doloroso, ma necessario per far continuare a vivere i The National. Prova ne sono i toni molto sommessi del lavoro: solo Tropic Morning News ed Eucalyptus hanno una ritmica paragonabile ai migliori brani del gruppo. Invece episodi come Ice Machines e Send For Me sono fin troppo deprimenti e rendono il lavoro a tratti noioso.

Liricamente, abbiamo una delle migliori prove del gruppo: “If you’re ever sitting at the airport and you don’t wanna leave, don’t even know what you’re there for… Send for me” (Send For Me) rappresenta perfettamente il mood complessivo del disco. “But would your life be so bad if you knew every single thought I had?” (This Isn’t Helping) è un verso misterioso, ma pone una domanda forse senza risposta per molti di noi. Infine, “You were so funny then”, presa da Grease In Your Hair, è una frase che tutti abbiamo pensato di vecchi amici o partner, con cui abbiamo chiuso.

In conclusione, “First Two Pages Of Frankenstein” non è un LP perfetto, soprattutto se paragonato a “Boxer” (2007), “High Violet” (2010) e “Trouble Will Find Me” (2013). Allo stesso tempo, i The National si confermano incapaci di scrivere brutti CD: speriamo solo che la prossima volta trovino maggiore voglia di sperimentare.

Voto finale: 7,5.

Angel Olsen, “Forever Means”

forever means

La cantautrice americana Angel Olsen ritorna con un EP di sole quattro canzoni pochi mesi dopo “Big Time” (2022), il CD che aveva fatto scoprire la sua passione per il country e alcuni aspetti privati che ben pochi conoscevano (la morte dei suoi genitori nello spazio di poche settimane, il suo coming out).

Le quattro melodie sono a prima vista dei residui delle sessioni di registrazione che hanno portato a “Big Time” e compongono un interessante quadretto, dato che riportano alla mente i lavori precedenti di Angel Olsen. Ad esempio, la title track e Nothing’s Free ricordano rispettivamente le atmosfere rarefatte di “Half Way Home” (2012) e “Burn Your Fire For No Witness” (2014), mentre la conclusiva Holding On è la traccia più rock del lotto e rimanda all’indie rock di “MY WOMAN” del 2016. L’unico brano che è interamente assimilabile a “Big Time” è Time Bandits, il più debole dei quattro peraltro.

In conclusione, Angel Olsen conferma il suo feeling con il formato EP, contando che già nel 2021 ne aveva pubblicato uno, seppur di fattura completamente diversa: “Aisles” conteneva infatti cinque cover di successi anni ’80. “Forever Means” non è nulla di rivoluzionario, ma passare 16 minuti ascoltandone i brani è un passatempo più che accettabile.

Voto finale: 7.

Feist, “Multitudes”

multitudes

Il sesto album di Leslie Feist, che vanta una fiorente carriera solista ma è anche un membro fondamentale dei Broken Social Scene, è il suo lavoro più cantautorale: molte canzoni somigliano a Leonard Cohen o Joni Mitchell. Allo stesso tempo, i momenti più movimentati ci ricordano perché lei sia una delle autrici indie rock più celebrate del terzo millennio.

Composto prevalentemente durante i lockdown del 2020-2021, “Multitudes” è un CD influenzato dal Covid-19 pubblicato in ritardo rispetto ad altri album “pandemici”: in effetti, il folk e la calma di pezzi come Forever Before e The Redwing sono lontani dal solito mood di Feist, non sbagliati ma alla lunga forse un po’ monotoni.

I pezzi più trascinanti sono quelli più riusciti: l’iniziale In Lightning e Borrow Trouble ne sono chiari esempi. Anche liricamente vale lo stesso: molti pezzi contengono testi tranquillizzanti e idealizzati, ma a colpire davvero sono i seguenti drammatici versi, tratti da Become The Earth: “Some people have gone, and the people who stayed will eventually go in a matter of days”.

In conclusione, “Multitudes” difficilmente si affermerà come il miglior LP a firma Feist: “The Reminder” del 2007, in questo senso, è inarrivabile. Allo stesso tempo, la calma e la pazienza mostrate durante tutta la carriera dalla Nostra hanno trovato modo di esprimersi magari diversamente dal passato, ma non per forza in maniera errata.

Voto finale: 7.

Beach House, “Become”

become

Il nuovo lavoro della band formata da Victoria Legrand e Alex Scally è una sorta di quinto capitolo del doppio CD del 2022 “Once Twice Melody”. Nulla di rivelatorio o differente rispetto ai “soliti” Beach House, solo cinque canzoni gradevoli e che non sembrano proprio degli scarti rispetto alle 18 che hanno poi formato il disco originale.

Se i due avessero agganciato queste cinque canzoni alle quattro parti di cui si compone “Once Twice Melody”, avremmo potuto benissimo pensare ad una edizione deluxe del CD. In generale, abbiamo canzoni più raccolte (Devil’s Pool) così come altre più movimentate, sulla falsa riga di Superstar (Black Magic, American Daughter). Nessuna è fuori luogo, nessuna spicca palesemente sulle altre; la qualità media resta comunque soddisfacente.

Dobbiamo quindi prendere “Become” come nulla più di una pausa tra un LP di nuovi brani e l’altro. La cosa che più sorprende è che, in fin dei conti, Legrand e Scally suonano lo stesso genere ormai da quasi venti anni: malgrado ciò, il loro dream pop con inserti di shoegaze e psichedelia è sempre capace di far provare miriadi di sensazioni ai loro ascoltatori. “Become” si aggiunge, in conclusione, ad una produzione sempre simile, ma mai uguale a sé stessa.

Voto finale: 7.

Metallica, “72 Seasons”

72 seasons

Il dodicesimo album dei Metallica, contando anche quello collaborativo con Lou Reed (lo sfortunato “Lulu” del 2011), arriva ben sette anni dopo “Hardwired… To Self-Destruct” (2016) e rappresenta un altro lavoro infarcito di canzoni che ti aspetteresti da un gruppo leggendario del metal. Nulla di innovativo quindi, ma certamente Lars Ulrich e compagni si sono divertiti a suonare le tracce del disco e alcuni riff sono indimenticabili fin dal primo ascolto.

Il vero problema del CD è l’eccessiva lunghezza complessiva e quella di alcune specifiche melodie: eccettuata Lux Aeterna, peraltro una delle migliori, tutte superano i quattro minuti e la conclusiva Inamorata, la più lunga mai composta dai Metallica, arriva addirittura ad 11! In tutto abbiamo dodici pezzi per 77 minuti complessivi; Sleepwalk My Life Away e If Darkness Had A Son, ad esempio, sarebbero potute benissimo durare la metà.

In generale, va detto, il ritmo rilassato con cui i Nostri producono nuova musica (un disco ogni 5-7 anni) li aiuta evidentemente a trovare la giusta ispirazione, immortalata da 72 Seasons e Lux Aeterna. Buona anche Screaming Suicide. Invece inferiori alla media Sleepwalk My Life Away e Crown Of Barbed Wire.

“72 Seasons” non farà cambiare idea a nessuno: i fan di lunga data converranno che i bei tempi andati di capolavori come “Ride The Lightning” (1984) e “Master Of Puppets” (1986) non torneranno più, ma questo LP non intacca un’eredità magari incostante, ma in recupero. Gli scettici ovviamente resteranno tali. Ad A-Rock non possiamo dirci totalmente soddisfatti, ma le buone intenzioni del gruppo americano sono evidenti e il giudizio non può che essere, almeno parzialmente, positivo.

Voto finale: 6,5.

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