Scheda: Girls

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La storia dei Girls è stata breve ma intensa: due album, un EP e un amore incondizionato di pubblico e critica in appena due anni di attività. Infatti, Christopher Owens e Chet “JR” White, fondatori del gruppo, ne hanno decretato la fine nel 2011, a causa di dissidi interni e dei fantasmi che tormentano Owens, cresciuto in una setta religiosa americana che proibiva le cure mediche e i cui dettami hanno portato alla precoce morte del fratello, per poi trascinarlo in una discesa agli inferi, fatta di droga e prostituzione, salvata solo dalla musica. Probabilmente non è un caso che, chiuso il progetto Girls, adesso Owens faccia dischi solisti: forse è finalmente riuscito a battere i suoi demoni. Analizziamo con attenzione la brevissima carriera dei Girls, la band che poteva essere la portabandiera dell’indie rock negli anni ’10, ma che invece resterà per sempre nel mito.

“Album”, 2009

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Diciamo subito che, almeno con i nomi, Owens e White non hanno mai dimostrato volontà di adeguarsi alla massa. Chiamare una band di soli uomini Girls già denota un qualche cosa di strano; nominare il primo album di inediti “Album” suona come una sfida. Sfida peraltro vinta a mani basse dai Girls: il gruppo musicalmente si rifà alla musica anni ’60, basti sentirsi le bellissime Lust For Life (stesso titolo di una celebre canzone di Iggy Pop), Laura e Big Bad Mean Motherfucker. I richiami poi sono anche per lo shoegazing (la potente Morning Light) e ai gruppi pop inglesi anni ’90, per esempio Pulp e Suede, nella bella Hellhole Ratrace. I testi affrontano soprattutto tematiche amorose, ma in modo non convenzionale, fattore che alimenta il fascino del gruppo. Infine, il basso di White e la voce di Owens servono a distinguere i Girls da gruppi contemporanei come Fleet Foxes e Real Estate. Insomma, un trionfo del revival pop/rock: un esordio da incorniciare. Voto: 9.

“Father, Son, Holy Ghost”, 2011

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Dopo il successo del primo CD e un EP di pregevole qualità, “Broken Dreams Club” del 2010 (voto: 8), con i picchi delle squisite Heartbreaker e Carolina, i Girls erano attesi al varco. E la giovane band non si fa trascinare e non cerca di strafare; piuttosto, “Father, Son, Holy Ghost” perfeziona la formula vincente di “Album”, migliorando la produzione e la cura dei dettagli delle singole canzoni, oltre alla coesione generale. Perso l’effetto sorpresa, Owens e co. cercano quindi di raggiungere il picco delle loro potenzialità, citando anche i Led Zeppelin (Die). I risultati sono ancora una volta grandiosi: brani come Honey Bunny, Vomit e Forgiveness sono fantastici. Il capolavoro vero è però Alex: 4 minuti di bellissimo britpop, con forti reminiscenze degli Oasis, con strati di chitarre che si accumulano e la calda voce di Owens a tenere insieme il tutto. In poche parole, uno dei più riusciti LP dell’anno e anche del decennio. Chiusura migliore non si poteva immaginare per la carriera dei Girls. Voto: 9.

 

Scheda: Muse

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La formazione dei Muse.

I Muse sono un famosissimo gruppo rock britannico, formatosi nel lontano 1994 e con una lunghissima discografia. Il loro stile si caratterizza per un forte rimando a Queen, Radiohead e diffusi innesti elettronici. Il risultato è a volte eccessivamente barocco e pompato, ma inimitabile: non a caso sono uno dei gruppi rock più celebri al mondo. Analizziamone la carriera.

“Showbiz”, 1999

showbiz

L’esordio del terzetto britannico richiama fortemente i Radiohead di “The Bends” e “OK Computer”, tanto che i Muse vengono velatamente accusati di plagio da alcuni critici musicali. I risultati comunque non sono disprezzabili (non a caso i fans sono ancora affezionati al CD): ottimi pezzi come Muscle Museum, Sunburn e la romantica Unintended sono ancora oggi evocativi. Niente di che, ma i Muse dimostrarono che la stoffa c’era. Voto: 7,5.

“Origin Of Symmetry”, 2001

origin of symmetry

Eccolo qua il primo grande disco dei Muse: lo stile marcatamente radioheadiano lascia il posto ad uno space rock molto ambizioso, venato da hard rock ma anche ballate efficaci. I brani migliori sono la meravigliosa New Born (con grandissima progressione nella parte centrale), Bliss, la trascinante Plug In Baby e la intima Feeling Good. Insomma, un trionfo. Voto: 8,5.

“Absolution”, 2003

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I Muse erano al picco della creatività e della fama, ma erano contemporaneamente attesi al varco: avrebbero confermato i risultati di “Origin Of Symmetry”? I tre ragazzi inglesi risposero con un CD ancora più solido e coeso: brani come Time Is Running Out e Hysteria sono grandi pezzi rock. Vi sono però anche ballate efficaci, come Sing For Absolution e Apocalypse Please. L’hard rock di Stockholm Syndrome rende il tutto ancora più pepato. In poche parole, uno dei migliori CD del 2003 e dell’intero decennio. Voto: 9.

“Black Holes And Revelations”, 2006

black holes and revelations

I Muse avevano davanti due strade: rischiare ancora di più, avventurandosi in lidi musicalmente inesplorati, oppure adagiarsi sull’efficace formula coniata nei loro due precedenti lavori. Bellamy e co. scelsero coraggiosamente la prima opzione, tentando la strada dell’elettronica e del progressive rock. Emblemi della svolta sono le bellissime Supermassive Black Hole e Knights Of Cydonia, ancora oggi immancabili nei live della band. Le belle canzoni non si fermano qui: come scordare le squisite Starlight e Map Of The Problematique? Insomma, un altro capolavoro era stato aggiunto alla già brillante carriera dei Muse. Voto: 9.

“The Resistance”, 2009

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Il più queeniano degli LP dei Muse è anche quello più controverso. La band infatti tentò ancora nuove strade, tra opera (nelle tre parti della conclusiva Exogenesis) e jazz (in I Belong To You, dove addirittura Bellamy canta in francese). I risultati sono altalenanti: buone la title track e Uprising, entrambe con marcate influenze politiche; meno le già citate Exogenesis e I Belong To You. Interessante Guiding Light, troppo lunga Unnatural Selection. Un (mezzo) passo falso capita a tutti, no? Voto: 7.

 “The 2nd Law”, 2012

the 2nd law

Il 2012 è l’anno delle Olimpiadi di Londra e i Muse sono chiamati a comporre la canzone-manifesto dei Giochi, quella Survival clamorosamente pompata ma alla fine godibile. Meglio però i Muse più “sobri”: per esempio nelle famose Supremacy ed Animals, bei brani che richiamano “Absolution”. L’esperimento dubstep di The 2nd Law: Unsustainable è intrigante, ma riuscito a metà. È comunque da lodare il coraggio dei tre inglesi di provare sempre strade nuove, cosa non banale nel panorama musicale odierno. Voto: 8.

“Drones”, 2015

drones

Il settimo album dei Muse è anche il meno riuscito, fino ad ora, nella loro produzione: la creatività sembra declinare. “Drones” cerca di tornare all’hard rock delle origini, mescolandovi i richiami politici presenti nei due precedenti lavori. Purtroppo, i risultati non sono propriamente scintillanti: buone Psycho e The Reapers, bella ma prevedibile Dead Inside, evitabili i brevi intermezzi Drill Sergeant e JFK. Insomma, discreto ma niente di che. Voto: 7.

 

Scheda: Foals

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I quattro componenti dei Foals.

I Foals sono un quintetto britannico, uno dei gruppi più interessanti della scena rock britannica. Partiti da un “math rock” con intarsi pop/funk, hanno progressivamente virato verso un rock decisamente più duro ma contemporaneamente “da arene”, simile a Muse ed U2, una formula vincente e intrigante. Andiamo con ordine e analizziamo la loro carriera.

“Antidotes”, 2008

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L’esordio dei Foals è davvero strano (tanto che gli stessi Foals hanno parlato di un genere “tropical-prog” per le loro canzoni): se inizialmente può risultare superficiale, approfondendo l’ascolto le cose migliorano e anche la voce monocorde del cantante Yannis Philippakis assume una sua funzione. Niente di che, ma alcune buone canzoni ci sono: in particolare ricordiamo la brillante Cassius e le ammalianti Olympic Airways ed Electric Bloom. Esemplifica il mood del disco la lunga e ambiziosa Big Big Love (Fig.2): tanta attesa per un riff assassino che non arriva mai. Insomma, il talento c’è, ma i risultati sono appena discreti. Voto: 7.

“Total Life Forever”, 2010

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“Antidotes” era stato ricevuto benino dalla critica, ma al pubblico era passato pressoché inosservato. I Foals cercarono dunque di essere più ambiziosi nei suoni e di trovare una loro nicchia nello sconfinato e competitivo mondo dell’indie rock. “Total Life Forever” rappresenta un gigantesco passo avanti rispetto all’esordio: le canzoni si fanno più sofisticate e ardite, Philippakis migliora nella parte canora e la base ritmica si rafforza. Sono molto belle This Orient, la potente After Glow e la lunga Black Gold; non male anche la iniziale Blue Blood. Menzione speciale per la magnifica Spanish Sahara, ballata di oltre sei minuti davvero trascinante. Insomma, i Foals hanno ormai acquisito lo status di potenziali headliner dei più importanti festival musicali europei. Voto: 8.

“Holy Fire”, 2013

holy fire

Tutti attendevano al varco i Foals: la tensione rischiava di divorarli. Invece, i cinque ragazzi se ne uscirono con un album ancora più bello di “Total Life Forever”, svoltando verso un rock più carico, quasi hard rock in certi tratti. Ne sono simboli due delle canzoni migliori del CD: Prelude e Inhaler (quest’ultima trascinante nel ritornello) sono come gemelli siamesi, una senza l’altra non esisterebbe, ma proprio per questo acquistano fascino. Non male il funk à la Hot Chip di My Number, così come il quasi shoegaze della conclusiva Moon. Insomma, un lavoro vario e ben riuscito, che conferma il talento dei Foals e il loro appeal sul pubblico. Uno dei migliori album dell’anno. Voto: 8,5.

“What Went Down”, 2015

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Il piano originario dei Foals, dopo il grande successo e il lungo tour seguito a “Holy Fire”, era di fermarsi per un po’. In realtà, l’ispirazione non era ancora terminata e decisero quindi di pubblicare il loro quarto lavoro di studio, il bel “What Went Down”. Non bisogna infatti pensare che sia un LP tirato via o poco curato; al contrario, la coesione e precisione dell’album sono ammirevoli. Anche la voce di Philippakis migliora, diventando sempre più importante per l’espressività delle melodie dei Foals. Inoltre, finalmente la band non concentra i brani migliori nella prima metà, cercando invece di essere più equilibrata, cosa non da poco. I pezzi migliori sono la potentissima title track (parente di Inhaler), la bella Mountain At My Gates e le più romantiche Birch Tree e Give It All. Ottima anche Night Swimmers. “What Went Down” sembra chiudere la prima parte della carriera dei Foals: il loro stile, un mix di funk, indie e hard rock, sembra aver dato il meglio di sé. Cosa ci attende? Nessuno può dirlo, ma la fiducia accumulata nei cinque ragazzi inglesi è immensa. Voto: 8

Scheda: Arcade Fire

arcade fire

I componenti degli Arcade Fire: quello seduto è il cantante Win Butler, la donna è sua moglie Régine Chassagne: sono loro i due leader del gruppo.

I canadesi Arcade Fire sono tra le cinque maggiori rock band mondiali. Partiti da un indie rock con raffinati intarsi “classici”, hanno successivamente sperimentato differenti generi, passando dal pop barocco alla musica caraibica con grande disinvoltura. Analizziamone insieme la carriera.

“Funeral”, 2004

funeral

Molte parole sono state scritte sul magnifico esordio degli Arcade Fire: quello che noi umilmente aggiungiamo è che, probabilmente, “Funeral” è l’espressione più alta e riuscita dell’ondata indie rock di inizio millennio. Brani come Wake Up e Rebellion (Lies) sono ormai leggendari; i quattro Neighborhood sono profondi testualmente e bellissimi nella loro varietà compositiva. In poche parole, un CD fondamentale, che non smette di trasmettere messaggi universali al pubblico (accettare la morte, assimilare la scomparsa di una persona cara e la solitudine sono i temi portanti dell’album). Voto: 9,5.

“Neon Bible”, 2007

neon bible

Tre anni dopo, il ritorno del gruppo canadese segna un netto passaggio verso un rock più adulto. Le sonorità si fanno meno trascinanti e più cerebrali; la voce di Win Butler cerca tonalità diverse. Di pezzi riusciti ne contiamo almeno tre: le potenti No Cars Go e Keep The Car Running e la più complessa Black Wave/ Bad Vibrations. Colpisce inoltre la coerenza sonora del CD, quasi a creare un concept album dalla spiccata religiosità. Insomma, un altro capolavoro. Voto: 9.

“The Suburbs”, 2010

the suburbs

Giunti al fatidico terzo album, gli Arcade Fire virano verso un pop molto più barocco dei precedenti lavori, con spruzzate di dance (come nella bella Sprawl II – Mountains Beyond Mountains). Il tema portante adesso è l’infanzia dei componenti della band nei sobborghi di Houston. Anche in “The Suburbs” pezzi riusciti non mancano: in particolare ricordiamo Ready To Start, We Used To Wait e City With No Children, tutti singoli estratti per promuovere il CD. Gli AF sembrano incapaci di sbagliare un LP: l’epiteto di “rock band migliore del mondo” pare essere meritato. Voto: 8,5.

“Reflektor”, 2013

reflektor

“Reflektor” è senza dubbio il lavoro più ambizioso mai concepito dagli Arcade Fire: due CD, 13 brani totali e 75 minuti di lunghezza, brani che superano facilmente i 5 minuti di lunghezza (la conclusiva Supersymmetry arriva addirittura a 11!). Insomma, il rischio flop era davvero dietro l’angolo. Il tutto aggravato dal genere scelto: una elettronica ballabile venata di influenze caraibiche. Iniziano ad arrivare le prime bocciature dai critici, ma in generale la risposta (anche del pubblico) è positiva. Non tutto è perfetto: la monotona Porno è fuori fuoco, ad esempio. Tuttavia, va premiato il coraggio del gruppo nel voler sempre osare e prendersi dei rischi: capolavori come la title track (dove partecipa anche David Bowie) e Awful Sound (Oh Eurydice) sono manifesto di ciò. Voto: 8.

Scheda: Neon Indian

palomo

Alan Palomo, la mente dietro il progetto Neon Indian.

Il progetto Neon Indian è fondamentalmente l’idea di Alan Palomo, musicista di origine messicana autore di uno dei mix più intriganti sulla scena musicale moderna. Palomo mescola infatti funk, elettronica e musica chill-wave, arrivando a produrre canzoni gradevoli e molto “estive”, sulla scorta di Jamiroquai e Prince soprattutto. Ma andiamo con ordine.

“Psychic Chasms”, 2009

psychic chasms

L’esordio dei Neon Indian è subito indicativo dei pilastri della loro produzione: canzoni orecchiabili e ballabili, synth molto in evidenza e la voce di Palomo a legare il tutto. Album breve, ma comunque interessante: tra gli highlights abbiamo Deadbeat Summer, Terminally Chill e la title track. Non male anche 6669 (I Don’t Know If You Know) ed Ephemeral Artery. Insomma, un CD che ha influenzato (e non poco) la scena dei primi anni ’10. Voto: 8.

“Era Extraña”, 2011

era extrana

Dopo due anni, Palomo e compagni tornano con “Era Extraña”: un album più maturo del predecessore, ma anche meno immediato. Le sonorità si fanno più cupe e i ritmi meno ballabili; abbiamo comunque pezzi notevoli. Tra di essi ricordiamo Polish Girl, Hex Girlfriend e la trascinante Future Sick. Potremmo definirlo un album di transizione, ma potrebbe risultare ingeneroso: “Era Extraña” mantiene infatti alto il livello medio della produzione dei Neon Indian e varia il loro spettro sonoro. Cose non da poco. Voto: 7,5.

“VEGA INTL. Night School”, 2015

vega intl

Quattro anni di silenzio hanno permesso a Palomo di assimilare ancora di più la musica dei maestri (su tutti Michael Jackson e Prince) e produrre così un LP davvero notevole. I richiami alla musica anni ’80 sono chiari, ma stupisce soprattutto la coesione (sia sonora che tematica) del CD. I beat non finiscono mai di fluire fino alla conclusione e Palomo narra storie di ordinaria criminalità nella Los Angeles del passato. Non tutti i brani sono perfetti, ma Annie, Slumlord e The Glitzy Hive non possono lasciare indifferenti. Il CD più vario dei Neon Indian è servito. Voto: 8.

Scheda: The Rapture

the rapture

Gli ex componenti degli statunitensi Rapture.

Scioltisi nel 2014, i Rapture sono stati un gruppo indie rock statunitense altamente innovativo. La scuderia della DFA, la casa discografica emblema della scena rock-elettronica anni 2000 (comandata da James Murphy degli LCD Soundsystem), aveva infatti prodotto, soprattutto nei primi lavori del complesso, un ottimo mix di post-punk e rock scanzonato. Nessuno ha suonato come i Rapture, almeno per qualche anno. Ma andiamo con ordine.

“Echoes”, 2003

echoes

L’esordio dei Rapture riscuote un immediato successo di critica: proclamato album dell’anno da Pitchfork, è senza dubbio uno dei più innovativi dello scorso decennio. Brani davvero buoni ne abbiamo: tra di essi in particolare la title track, House Of Jealous Lovers e la doppietta iniziale composta da Olio e Heaven. La voce di Luke Jenner aggiunge forza all’insieme. Insomma, uno dei CD da ascoltare per capire la scena indie degli anni ’00. Voto: 8,5.

“Pieces Of The People We Love”, 2006

pieces of the people we love

Al secondo lavoro, i Rapture cercano di cambiare parzialmente il loro sound: meno “cowbells” e maggiore ricerca della melodia. Un disco più pop, dunque, per certi versi. Molti storcono il naso, ma il pubblico dimostra di apprezzare la decisione. Tra le canzoni più riuscite abbiamo Get Myself Into It, la celebre Whoo! Alright-Yeah…Uh Huh e la potente First Gear. Niente di eccezionale, ma certamente un discreto disco indie rock. Voto: 7,5.

“In The Grace Of Your Love”, 2011

in the grace of your love

L’ultimo disco (ad oggi) dei Rapture contiene una inattesa svolta dance: bisogna dare atto al gruppo di voler sempre cambiare registro, cosa non comune. Non tutto gira alla perfezione, ma alcune melodie sono innegabilmente belle. Tra di esse contiamo la title track, la ipnotica Roller Coaster e la danzereccia How Deep Is Your Love?. Il tema dominante, come si intuisce, è proprio l’amore. Amore di Jenner per il padre e dei Rapture per la musica; peccato che la loro breve storia assieme sia finita così presto, ma i tre LP del gruppo non rimarranno nel dimenticatoio. Voto: 7.

Scheda: Disclosure

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I fratelli Lawrence, vale a dire i componenti dei Disclosure.

I fratelli Lawrence, meglio conosciuti con il nome d’arte Disclosure, originari dell’Inghilterra (precisamente del Surrey), hanno rivoluzionato la scena house inglese e acquistato notorietà mondiale, fino a suonare alla Casa Bianca. Non una cosa da poco per chi ha all’attivo solo due album, oltre a un EP e a vari remix. Analizziamone la carriera.

“Settle”, 2013

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All’esordio, i fratelli fanno già il pieno, sia di critiche positive che di vendite. “Settle” è infatti uno dei migliori album di musica dance del 2013, abilissimo nel mescolare la house anni ’80 con i ritmi più moderni. Notevoli anche le collaborazioni: abbiamo infatti tra gli altri Sam Smith, Mary J. Blige, AlunaGeorge… Insomma, pezzi da 90 della musica contemporanea. Tra i migliori brani abbiamo la celeberrima Latch, la trascinante When A Fire Starts To Burn, Voices e la più intima Help Me Lose My Mind. In poche parole, un ottimo inizio per Guy e Howard Lawrence. Voto: 8,5.

“Caracal”, 2015

caracal

Replicare un successo delle dimensioni di “Settle” era francamente difficile: i due Lawrence tentano di rallentare i ritmi e i pezzi si fanno più pop. Non tutto è perfetto, i risultati lo testimoniano; è anche vero però che le visualizzazioni su YouTube non accennano a diminuire e il loro successo aumenta progressivamente. Tra le canzoni più riuscite si contano Willing & Able e Holding On. Una leggera sensazione di delusione ci sta, ma non parliamo di un fallimento. Voto: 7.

I ragazzi hanno anche recentemente rilasciato il breve EP “Moog For Love” (voto 6,5): niente di che, ma un ulteriore segnale che i Disclosure sono qua per restare al centro dell’attenzione di critica e pubblico. Il migliore brano è la lenta Feel Like I Do, mentre la meno centrata è proprio la title track.

Scheda: The Killers

The Killers

Una bella foto dei Killers.

I Killers, band losangelina nata nei primi anni 2000, ha all’attivo quattro album di pura nostalgia musicale: con uno stile che si rifà a Police, U2 e lo Springsteen delle origini, senza dimenticare i Queen, i quattro membri del gruppo sono assurti al ruolo di superstar mondiali, malgrado un ultimo album davvero debole. Ma andiamo con ordine.

“Hot Fuss”, 2004

hot fuss

Il primo album della band capitanata da Brandon Flowers può essere diviso in due parti uguali per numero di canzoni, ma decisamente differenti come qualità. Nella prima infatti sono posti alcuni dei più grandi successi dei Killers, facilmente rientranti nei greatest hits delle più belle canzoni del decennio scorso (bastano i titoli: Somebody Told Me, Mr Brightside e All These Things That I’ve Done). Poi nella seconda metà il lavoro si fa più prevedibile, ma la conclusiva Glamorous Indie Rock And Roll risolleva il voto. In conclusione: 10+7=8,5. Ecco la votazione finale del CD. Voto: 8,5.

“Sam’s Town”, 2006

sam's town

I Killers, dopo un album osannato dal pubblico di mezzo mondo (meno dalla critica), spingono ancora di più il piede sull’acceleratore. Lo stile si fa ancora più pomposo e i quattro presentano una sorta di concept album su Sam’s Town, a cui il titolo allude. Non tutto è perfetto, ma colpisce la coesione sonora che pervade il lavoro. Gli highlights sono la title track, When You Were Young e Read My Mind, altro grande successo del complesso. Il voto non può che essere equivalente a quello del sottovalutato “Hot Fuss”: sono due album invecchiati benissimo, ancora oggi orecchiabilissimi. Non si può dire lo stesso di molti altri LP lodati a loro tempo dai critici… Voto: 8,5.

“Day & Age”, 2008

day & age

In un certo senso, “Day & Age” è un passo avanti importante nella discografia dei Killers: è il primo CD in cui non viene aumentato il tasso di sfarzosità delle orchestrazioni, quasi a voler tornare sì agli anni ’80 di Queen e co., ma con giudizio. Belle canzoni non mancano: tra di esse in particolare abbiamo Spaceman, la celeberrima Human e Losing Touch. Purtroppo, è proprio da questo terzo CD che inizia la (apparente) parabola discendente del gruppo. Voto: 7,5.

“Battle Born”, 2012

battle born

Dopo essersi presi una lunga pausa, i Killers tornano con “Battle Born”: un album dunque sull’energia e la voglia di vivere tipici degli Stati Uniti. Peccato che il loro album più americano sia anche un inatteso fiasco: nessun brano trascinante, troppe canzoni lunghe e monotone… Insomma, un fallimento vero e proprio. Si salva giusto il singolo Runaway, ma è troppo poco per la sufficienza. Speriamo che in futuro Flowers e soci tornino agli antichi livelli. Voto: 4,5.

Scheda: Franz Ferdinand

Franz Ferdinand

Una simpatica foto degli scozzesi Franz Ferdinand.

I Franz Ferdinand sono un gruppo indie rock scozzese, uno di quelli fondamentali per capire e apprezzare pienamente il rinnovamento subito dal rock a cavallo dei due secoli XX e XXI. Adesso, dopo l’abbandono del chitarrista Nick McCarthy (secondo da sinistra nella foto), c’è chi teme per la loro sorte; ma aspettiamo a darli per morti. Di pause lunghe ne hanno già avute nel corso della loro carriera, del resto. Analizziamone dunque la produzione e i principali album.

“Franz Ferdinand”, 2004

Franz Ferdinand album

Il primo album della discografia dei FF è un assoluto capolavoro rock: considerato ormai un classico, contiene alcune delle più celebri canzoni della band, da Take Me Out a Michael, passando per This Fire e The Dark Of The Matinée. Il loro stile si trova perfettamente a cavallo fra Strokes e Rapture: quindi un indie rock ballabile e sfrontato. Insomma, un trionfo dalla prima all’ultima traccia. Uno dei CD più importanti del decennio. Voto: 9.

“You Could Have It So Much Better”, 2005

You Could Have It So Much Better

A solo un anno di distanza dal fortunato esordio, i Franz Ferdinand tornano con l’attesissimo “You Could Have It So Much Better”. Pur non replicando la magica coesione e i brani killer del primo CD, anche questo lavoro è ben fatto, con degli highlights del calibro di Do You Want To, Walk Away e la tenera Eleanor Put Your Boots On, prima vera ballata composta da Kapranos e soci. La formula inizia a essere monotona? Non sembra proprio. Voto: 8.

“Tonight: Franz Ferdinand”, 2009

tonight

Dopo due album fulminanti come i precedenti, i Franz Ferdinand si prendono una meritata pausa e, quattro anni dopo “You Could Have It So Much Better”, abbiamo il terzo LP nella loro produzione. I FF iniziano (finalmente) a cambiare leggermente pelle: il lato pop si presenta con maggior frequenza e il ritmo delle canzoni inizia a rallentare. Vero è che il miglior brano del CD, la trascinante Ulysses, richiama le atmosfere degli esordi, ma altri (come Katherine Kiss Me e la funkeggiante Can’t Stop Feeling) sono più innovativi. Non perfetto, questo “Tonight: Franz Ferdinand”, ma comunque buono. Voto: 7,5.

“Right Thoughts, Right Words, Right Action”, 2013

right thoughts

Dal titolo si può pensare di trovarsi di fronte un album prolisso; invece, mai impressione fu più sbagliata. In sole 10 tracce, i Franz Ferdinand cercano di rinnovare il loro sound, aprendo ad influenze elettroniche inattese, come in Treason! Animals e The Universe Expanded. Rimangono intatti tuttavia i richiami alle origini più rockettare, per esempio in Right Action, Evil Eye e Love Illumination. Niente di clamoroso, però un lavoro gradevole. Voto: 7.

Scheda: The Horrors

the horrors

I componenti degli Horrors: al centro il frontman Faris Badwan.

Gli Horrors sono uno dei più importanti gruppi alternative rock britannici. Partiti come uno dei tanti complessi indie inglesi, si sono successivamente evoluti secondo delle linee guida più sperimentali, accrescendo la loro reputazione presso il pubblico e la critica.

“Strange House”, 2007

strange house

Dopo un acclamato EP, già gli Horrors vengono sparati in prima pagina su NME e nominati “the next big thing” della musica inglese. Le aspettative verso di loro erano, insomma, molto elevate. “Strange House” solamente in parte le rispetta: delle 12 tracce che compongono il CD, infatti, solo Jack The Ripper e A Train Roars sono davvero belle. Insomma, non proprio un esordio da leccarsi i baffi. Voto: 7.

“Primary Colours”, 2009

primary colours

Due anni dopo è già la volta del “o la va o la spacca”. Gli Horrors sono a un bivio: cambiare radicalmente o rimestare nel solito tran tran indie rock? La risposta è fortemente innovativa, sotto tutti i punti di vista. A partire dal look (via gli atteggiamenti da goth-rock e il trucco nero e pesante), la band introduce nel suo sound forti elementi shoegaze e sperimentali, producendo un LP decisamente migliore rispetto a “Strange House”. I brani da ricordare sono Mirror’s Image, Who Can Say, la potente Do You Remember? e la conclusiva, lunghissima Sea Within A Sea, uno dei cavalli di battaglia tutt’oggi degli Horrors. Voto: 8.

“Skying”, 2011

skying

Migliorare i risultati già ottimi di “Primary Colours” non era per nulla semplice. Gli Horrors, con “Skying”, non solo lo fanno, ma riescono anche a sperimentare ulteriori ritmi e generi musicali, producendo un concept album sul cielo (come già il titolo indica) con forti influenze elettroniche e psichedeliche. Abbiamo ora un lavoro meno immediato del precedente, ma ancora più raffinato e profondo: i migliori pezzi sono le iniziali Changing The Rain e You Said, oltre alla meravigliosa Endless Blue (prima lenta, poi shoegaze scatenato), Oceans Burning e Wild Eyed (che ricorda gli Strokes). In poche parole: uno dei migliori album del 2011. Voto: 8,5.

“Luminous”, 2014

luminous

Qualcuno era giunto a paragonare gli Horrors agli Arctic Monkeys, altra osannata band rock inglese contemporanea, per la capacità di reinventarsi in ogni CD pur non perdendo in qualità. Ebbene, con “Luminous” assistiamo al primo peggioramento (sempre in termini relativi) nella carriera degli Horrors. Per la prima volta, infatti, la band non sperimenta e non si lancia in nuovi generi musicali, limitandosi a sfruttare la esplosiva miscela trovata nei precedenti due album. Brani riusciti non mancano: ricordiamo in particolare Chasing Shadows (meravigliosa la intro), la danzereccia In And Out Of Sight e I See You. Il voto non può quindi che essere positivo, ma forse ci saremmo aspettati qualcosa in più. Voto: 7,5.