Recap: gennaio 2020

Gennaio è già finito. Un mese solitamente interessante, che dà una prima idea di dove andrà a parare musicalmente l’anno. Ad A-Rock recensiremo in realtà anche alcuni CD che risalgono a dicembre 2019, come i nuovi lavori di Kaytranada, Stormzy, Harry Styles e Kanye West ( o per meglio dire del Sunday Service Choir). In più abbiamo il nuovo lavoro degli Algiers. Buona lettura!

Kaytranada, “BUBBA”

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Il secondo album del canadese Kayranada è in realtà arrivato a metà dicembre 2019, ma sarebbe stato un peccato sorvolare su un disco così riuscito. Mescolando abilmente R&B e dance, infatti, Kaytranada costruisce un album davvero interessante, che si ispira a Jai Paul e Anderson .Paak (per non scomodare Prince) ma riesce a non suonare troppo plagiato.

La complessa struttura del CD (17 canzoni per 51 minuti di durata) potrebbe far pensare ad un oggetto di difficile lettura, almeno a primo acchito. In realtà il musicista canadese, aiutato anche da un parco ospiti di tutto rispetto (Pharrell Williams, Kali Uchis e SiR fra gli altri), riesce a creare un prodotto coeso e mai scontato. Spiccano in particolare 10% e Midsection, ma nessun brano è davvero fuori posto. L’unico un po’ inferiore alla media è Need It, ma non intacca i risultati complessivi di “BUBBA”.

Qualcuno aveva gridato al miracolo con l’esordio “99.9%” (2016), per il suo mescolare senza difficoltà funk, R&B ed elettronica; questo “BUBBA” è un perfezionamento di una formula vincente, Kaytranada suona sicuro di sé e pronto a spiccare definitivamente il volo verso l’Olimpo del mondo pop. Abbiamo già un candidato alla top 10 del 2020? Difficile a dirsi, ma certamente questo LP piacerà a molti.

Voto finale: 8.

Stormzy, “Heavy Is The Head”

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Il secondo album rappresenta come ben sappiamo sempre una prova ardua da superare, soprattutto per artisti che hanno trovato il successo al primo colpo. Stormzy, superstar della scena grime inglese, la supera brillantemente, mantenendo le qualità messe in mostra nell’esordio “Gang Signs & Prayer” del 2017 e diventando una voce generazionale vera e propria per la gioventù britannica.

Il CD, uscito a fine 2019, mescola come già “Gang Signs & Prayer” vari generi: dalla trap al gospel, passando per il rap più duro e diretto, conosciuto Oltremanica come grime. Questa grande varietà rappresenta sia un limite che un’opportunità per il giovane artista: se da un lato Stormzy infatti crea un CD fin troppo diversificato (con ospiti tanto diversi da comprendere Ed Sheeran e Burna Boy nella stessa canzone), dall’altro la sua innata abilità a spaziare fra ritmi e sonorità così diverse dimostra un talento enorme.

Come sempre in un album hip hop, i testi rivestono un’importanza notevole. Stormzy non ha mai fatto mistero di voler diventare portavoce della generazione che in Inghilterra ha assistito alla Brexit e all’ascesa dei Tory, con tutte le polemiche che ne sono seguite. In Audacity si domanda: “come diavolo ho fatto a salire così presto?”, mentre in One Second escono le contraddizioni a cui deve far fronte: “ Mummy always said if there’s a cause then I should fight for it, so yeah I understand, but I don’t think that I’m all right with it”, che non necessita di traduzione. Altrove invece appaiono tempi più personali: in Lessons, per esempio, Stormzy conferma le voci che lo vedevano traditore della ex fidanzata Maya Jama.

In generale, il disco scorre bene, i featuring aggiungono spessore ai brani e Stormzy si conferma rapper molto talentuoso, sia vocalmente che liricamente. “Heavy Is The Head” sarà anche una dichiarazione spavalda, specialmente verso la concorrenza, ma questa arroganza è meritata.

Voto finale: 8.

Harry Styles, “Fine Line”

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Questo secondo album a firma Harry Styles, ex membro degli One Direction, conferma l’impressione suscitata da “Harry Styles” del 2017: è lui il più talentuoso tra gli ex appartenenti alla boy band. Mentre infatti sia Liam Payne che Zayn Malik hanno deluso alla prova solista, Harry dimostra un’abilità non comune nel panorama pop-rock, prendendo spunto da artisti come The 1975 e Coldplay ma riuscendo a non suonare scontato.

“Fine Line” parte subito forte: Golden è un pezzo molto solare, perfetto per iniziare col piede giusto un CD dichiaratamente “amichevole” ma non per questo monotono. Altro ottimo brano è Adore, non a caso scelto anche per lanciare il lavoro. Invece Watermelon Sugar è un po’ banale e non rende giustizia alla bella voce di Styles.

Interessante è poi la voglia di sperimentare dell’ex One Direction, che si avventura in territori folk (Cherry) così come negli assoli rock quasi prog (She). I risultati non sono sempre perfetti, ma denotano un coraggio non comune. Non è un caso che l’artista britannico dichiari di ispirarsi a David Bowie; ce ne vuole per raggiungere le vette creative del Duca Bianco, ma Harry Styles ha tutto per costruirsi una solida carriera.

“Fine Line” non è ancora il CD definitivo del giovane cantante, ma mostra un Harry Styles in gran forma e pronto ad essere il Robbie Williams degli anni ’20: l’unico sopravvissuto a buoni livelli di una ex boyband. Basta sostituire i Take That con gli One Direction e il gioco è fatto.

Voto finale: 7,5.

Algiers, “There Is No Year”

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Il terzo album degli Algiers rappresenta una decisa svolta per la band americana. Se prima l’attenzione degli Algiers era puntata su tematiche ampie come l’oppressione dei deboli e i mali del capitalismo, “There Is No Year” prende spunto da un libro dallo stesso titolo e parla invece di sensazioni prettamente personali come la fatica dello scrivere canzoni per l’artista (Unoccupied) o il sentirsi messi al bando (Dispossession).

Anche dal punto di vista meramente musicale gli Algiers hanno compiuto forti cambiamenti: mentre nel precedente CD “The Underside Of Power” la fusione di punk, soul e rock era quasi perfetta, in “There Is No Year” troviamo molto spesso che i sintetizzatori la fanno da padrone, aggiungendo ulteriore complessità ad una ricetta sonora già non immediata.

I risultati tuttavia non sono troppo vari o, peggio, eccessivamente carichi di influenze: pezzi come la title track o il singolo Dispossession sarebbero stati benissimo in “The Underside Of Power”. Altrove invece i cambiamenti apportati non hanno successo: Losing Is Ours è un po’ monotona, ad esempio, e non sfrutta appieno il potenziale alla batteria fornito da Matt Tong (ex Bloc Party).

In generale, prendendo spunto da artisti come Muse e Horrors, che hanno saputo immettere dosi di elettronica nel loro sound senza scadere nel ridicolo, gli Algiers sono riusciti a produrre un LP certamente non perfetto, ma nemmeno da buttare. “There Is No Year” è magari meno ambizioso come tematiche affrontate dei precedenti sforzi del gruppo, ma una svolta era necessaria; vedremo dove i prossimi lavori porteranno la carriera degli Algiers, ma la direzione è interessante.

Voto finale: 7.

Sunday Service Choir, “Jesus Is Born”

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La domanda può sorgere spontanea: perché un blog che si professa dedito alla musica rock (ma non limitato a questo genere musicale) dedica spazio a un album gospel pubblicato a Natale 2019? La risposta è: il CD è stato prodotto e supervisionato da quel genio scriteriato di Kanye West, che prosegue così il percorso nel mondo religioso e gospel iniziato con “Jesus Is King” (2019).

Se il suo precedente lavoro era molto breve, quasi un insieme di schizzi più che di brani fatti e finiti, “Jesus Is Born” è invece un lavoro molto articolato, che si compone di 19 brani per 84 minuti di durata. Pur non essendo totalmente ascrivibile a lui, l’influenza di Kanye si sente nella scelta dei brani portati a nuovo, pur rimanendo nel genere gospel, oltre che nell’uso della strumentazione. La cosa più curiosa è che la voce del Nostro è del tutto assente; non per questo però il disco perde valore.

Molto interessante è per esempio l’uso delle voci del Sunday Service Choir: nell’apertura maestosa di Count Your Blessings si arriva quasi a toni psichedelici per quanto in alto arrivano i versi recitati dal coro. Altro brano ben fatto è Revelations 19:1, con una forte impronta westiana nella progressione centrale, così come la potente Follow Me – Faith. Non sempre tutto fila liscio: ad esempio Balm In Gilead e Lift Up Your Voices sono un po’ monotone e spezzano il ritmo del CD. Da segnalare infine il remix della celeberrima Ultralight Beam, contenuta precedentemente in “The Life Of Pablo” (2016).

Malgrado questi difetti (e una lunghezza che richiede pazienza all’ascoltatore), “Jesus Is Born” è ad ora il miglior album gospel a firma Kanye West. Stiamo parlando di un punto non fondamentale della sua carriera, lontani sono i picchi creativi di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” (2010) e “Yeezus” (2013), però Kanye si conferma voce imprevedibile del panorama musicale e capace magari non di eccellere, ma certo di farsi notare in una moltitudine di generi estremamente differenti fra loro.

Voto finale: 7.

La versione gospel di Kanye West? Un (mezzo) fiasco

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Kanye West.

Dopo miriadi di rinvii, polemiche, cambi di nome, annunci di pubblicazione poi smentiti dai fatti, finalmente Kanye West ha pubblicato il seguito del discusso “Ye” del 2018. “JESUS IS KING” è l’album gospel anticipato da Kanye in varie interviste prima della pubblicazione, il CD in cui si dichiara “non più schiavo” di sesso e moda, ma pronto a servire il Signore. Ma è davvero un disco al livello dei precedenti del geniale rapper di Chicago?

Il disco nasce con strane premesse: inizialmente Kanye avrebbe dovuto pubblicare “Yandhi”, un album per così dire “laico”, sulla falsariga dei precedenti. Tuttavia, dapprima il progetto era stato posticipato, poi definitivamente accantonato, per poi finire su internet sotto forma di bootleg. Al suo posto abbiamo questo “JESUS IS KING”, che teoricamente (ma con lui mai dirlo con certezza) precede “JESUS IS BORN”, che verrà pubblicato naturalmente a Natale. L’artista americano ha deciso, come suo solito, di fare le cose in grande: a “JESUS IS KING” hanno collaborato, come produttori o collaboratori nelle canzoni, i Clipse (cioè Pusha-T e suo fratello No Malice), Ty Dolla $ign, Timbaland e Francis Starlite (Francis And The Lights).

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Messe da parte le chiacchiere, analizziamo la struttura del disco: seguendo un trend già visto con le sessioni del Wyoming dello scorso anno, West crea un prodotto molto breve (11 canzoni per 27 minuti), con alcuni brani che sembrano semplici bozze, si sentano Closed On Sunday e Follow God. Il problema è che questa sensazione di precarietà non fa giustizia a canzoni che parrebbero in realtà molto promettenti: la stessa Closed On Sunday sarebbe stata bene in “808s & Heartbreak” (2008). Anche altrove troviamo indicazioni intriganti: On God è buona, Hands On col suo beat sghembo pare presa dalle b-sides di “Yeezus” (2013).

Testualmente, ricordiamo l’avvenuta ri-conversione di West; i temi cristiani sono sempre stati più o meno presenti nella sua musica, basti pensare alla hit Jesus Walks del 2004 o a molte canzoni di “The Life Of Pablo” (2016). Tuttavia, mai un suo LP era stato così marcatamente religioso: Follow God prende un sample dalla canzone gospel Can You Lose By Following God, in On God si chiede “How you got so much favor on your side?”, rispondendosi “Accept him as your lord and savior”. La stessa On God contiene un riferimento alla polemica per antonomasia scatenata da Kanye negli ultimi mesi, quella sulla schiavitù dei neri nell’America dei secoli scorsi, “Thirteenth Amendment, gotta end it, that’s on me”. Insomma, West non si è stancato di essere discusso, nel bene quanto (ultimamente più spesso) nel male.

Creativamente, così come “Ye”, “JESUS IS KING” non entrerà nella top 50 dell’anno di A-Rock, per quanto poco conti comunque un segnale che qualcosa si è rotto. Il Kanye che rompeva qualsiasi schema precostituito nell’hip hop e ispirava artisti come Drake, Bon Iver e Kendrick Lamar ha lasciato il posto a un personaggio dei media, più interessato a far parlare di sé che al risultato finale. Questa nuova attenzione alla religione sarà una nuova, estrema mossa di marketing o un cambiamento sincero? Questo è il problema: con West non sappiamo più cosa è vero e cosa no. E quando un artista perde l’autenticità, per quanto si sia amato in passato, non merita più della sufficienza, anche per un lavoro per certi versi rivoluzionario e non completamente fuori controllo come “JESUS IS KING”.

Voto finale: 6.