Gli album più attesi del 2023

Non abbiamo fatto in tempo a stilare le liste dei migliori album del 2022 che è già ora di fare una carrellata dei CD più attesi per l’anno che verrà! Ma ormai lo sapete: ad A-Rock la passione per la nuova musica non viene mai meno, perciò vediamo un po’, per ciascun genere, quali sono i lavori più attesi da pubblico e critica.

Per quanto riguarda A-Rock, abbiamo grandi attese per quanto riguarda i nuovi CD di Gorillaz e Beyoncé: se i primi hanno già annunciato che pubblicheranno “Cracker Island” il prossimo 24 febbraio, Queen Bey ha già dato alle stampe la prima parte della trilogia che ha pianificato, “RENAISSANCE”, nel 2022 ed ha praticamente monopolizzato le liste dei migliori album dell’anno della critica specializzata. Inutile dire che il secondo volume è altrettanto atteso.

Spostandoci sul rock, l’anno che sta per finire ha visto moltissime band attese al varco pubblicare lavori rilevanti. Il 2023 potrebbe vedere il ritorno dei The Cure, con l’attesissimo “Songs Of A Lost World”, così come di PJ Harvey, che non pubblica una raccolta di inediti dal lontano 2016. Non tralasciamo poi i Queens Of The Stone Age, i The National e i Paramore: soprattutto questi ultimi ci hanno incuriosito, con singoli di lancio davvero duri rispetto alla loro estetica precedente. Infine, vedremo se gli Squid e gli shame si confermeranno, i primi dopo l’ottimo esordio “Bright Green Field”, i secondi dopo “Drunk Tank Pink”, entrambi del 2021.

Il pop invece, oltre alla già citata Beyoncé, vedrà altri artisti molto rilevanti pubblicare CD molto attesi: Dua Lipa, dopo il clamoroso successo di “Future Nostalgia”, pubblicato in pieno lockdown, dovrà rafforzare il proprio status di prossima regina del pop. Lana Del Rey, invece, proverà a farsi per l’ennesima volta portavoce di quel pop sofisticato che l’ha resa una star planetaria. Da non trascurare poi Caroline Polachek, la quale sta lanciando singoli da “Desire, I Want To Turn Into You” ormai da più di due anni. Chissà poi se Grimes pubblicherà “Book 1”, che già era atteso per il 2022. Jessie Ware, dal canto suo, deve provare a ripetere l’ottima forma sfoderata in “What’s Your Pleasure?”, mentre Janelle Monáe dovrà provare a non intaccare una discografia al momento praticamente impeccabile.

Nel mondo hip hop, pare proprio che JAY-Z pubblicherà il seguito di “4:44” del 2017. Anche i Death Grips sembrano sul punto di dare sfogo ai loro impulsi più sperimentali, mentre A$AP Rocky deve riscattare un periodo artisticamente non roseo, ma caratterizzato dalla nuova paternità. Sembra poi che, finalmente, Travis Scott darà alle stampe il seguito del mega successo del 2018 “Astroworld”, intitolato al momento “Utopia”. Che dire poi di Danny Brown, che doveva pubblicare “Quaranta” nel 2022? Anche da lui si aspettano conferme importanti. Infine, pur essendo difficilmente catalogabile solamente come rapper, Thundercat proverà a replicare quella fusione di generi che l’ha portato ad essere rispettato da pubblico e critica.

Provando a dare un’occhiata all’elettronica, il 2023 dovrebbe vedere il ritorno degli M83: vedremo se la band di origine francese riuscirà a tornare ai livelli di “Hurry Up, We’re Dreaming” del 2011. Anche Fever Ray, ex membro dei The Knife, pubblicherà un nuovo CD, erede di “Plunge” del 2017. Dovrebbero poi trovare spazio i nuovi lavori dei 100 gecs e di Oneohtrix Point Never. Menzione, infine, sul versante R&B dell’elettronica per Kelela, per i Depeche Mode nella parte più rock e per gli MGMT in quella più psichedelica.

Insomma, il 2023 sembra proprio poter essere un anno di conferme e, chissà, nuove scoperte. A-Rock offrirà come sempre, al meglio delle proprie possibilità, un’ampia copertura sulle nuove pubblicazioni. Stay tuned!

Recap: giugno 2018

Anche giugno è finito. Un mese pieno di uscite interessanti, a volte inattese, di artisti molto amati. Ad A-Rock recensiamo i nuovi dischi di Father John Misty, Natalie Prass, dei Deerhunter e di Stephen Malkmus (ex leader dei Pavement) assieme ai fidati Jicks. Ma soprattutto punteremo l’attenzione sulla collaborazione della più potente coppia della musica contemporanea: Jay-Z e Beyoncé.

Father John Misty, “God’s Favourite Customer”

fjm

Joshua Tillman è giunto al quarto CD sotto il nome di Father John Misty, quello che lo ha portato alla celebrità e contemporaneamente a diventare uno dei cantautori indie più discussi anche online, a causa delle sue prese di posizione sempre controverse, ma mai banali. “God’s Favourite Customer” arriva pochi mesi dopo il monumentale “Pure Comedy”, senza dubbio il lavoro più ambizioso di Tillman: il CD era infatti un’analisi di tutti i mali della società contemporanea, fatta su canzoni molto barocche, per una durata complessiva di 74 minuti. Insomma, un lavoro potenzialmente molto divisivo, che tuttavia aveva fatto breccia anche nel pubblico meno ricercato ed era entrato in molte liste dei migliori album del 2017 (compresa la nostra) con pieno merito.

“God’s Favourite Customer” probabilmente avrà la stessa fortuna, ma per motivi opposti: il disco è considerevolmente più breve di “Pure Comedy” e caratterizzato da canzoni meno complesse. Anche liricamente l’album è radicalmente diverso: adesso Tillman affronta i propri demoni personali, lasciando da parte le riflessioni sul mondo esterno. I risultati, come sempre con lui, sono ottimi.

Già le prime due tracce, Hangout At The Gallows e Mr. Tillman, rappresentano appieno questa svolta: ritorno alle ritmiche e sonorità di “Fear Fun”, durata ragionevole e immediato appeal. Il CD proseguirà poi su questa strada, affiancando canzoni più rock (la bella Disappointing Diamonds Are The Rarest Of Them All e We’re Only People (And There’s Not Much Anyone Can Do About That)) ad altre più melodiche (Just Dumb Enough To Try e The Songwriter). A coronamento di tutto sta la bella voce di Father John Misty, più calda ed evocativa che mai: basti sentire The Palace, solo voce e piano.

Liricamente, dicevamo, Tillman affronta gli angoli più oscuri della sua psiche, in particolare la paura di perdere l’amata moglie e le pene d’amore che questo provocherebbe. Un’apertura considerevole e sincera, soprattutto considerato che parliamo di un artista noto per il suo ego infinito e la sua sagace ironia piuttosto che per la sua fragilità.

In conclusione, in soli 38 minuti e dieci canzoni, Father John Misty conferma ancora una volta il suo immenso talento: mescolando influenze disparate (da Neil Young a Bob Dylan ai Fleet Foxes, il suo ex gruppo), Joshua Tillman ha prodotto un LP tanto semplice quanto gradevole. Chissà che il picco delle sue capacità non debba ancora essere raggiunto…

Voto finale: 8.

Stephen Malkmus And The Jicks, “Sparkle Hard”

stephen malkmus

Chi apprezza l’indie rock non può non venerare Stephen Malkmus, un artista che ha fatto la storia di questo genere con i Pavement negli anni ’90 del secolo scorso. Nondimeno, la sua carriera non si esaurì con lo scioglimento del gruppo: Malkmus ha poi cominciato una fiorente carriera alternativa con il suo nuovo complesso, i Jicks, non limitandosi a prendere ispirazione dai Pavement, ma anzi cercando sempre nuove sperimentazioni.

Ne è un’ulteriore dimostrazione questo “Sparkle Hard”, settimo CD di Stephen Malkmus assieme ai Jicks: accanto al classico indie rock che da lui ci aspetteremmo troviamo infatti uso diffuso del pianoforte e dell’autotune, che tanto va di moda oggi. Inoltre, Kim Gordon (ex Sonic Youth) fa una comparsata molto efficace in Refute.

I testi delle 11 canzoni dell’album poi sono molto attuali: in Bike Lane Malkmus fa riferimento all’uccisione da parte della polizia di Freddie Gray, un caso che ha destato molto scalpore negli USA; in Middle America si schiera a fianco del movimento #MeToo, cantando che “Men are scum, I won’t deny it”. Non spesso si sente un artista di mezz’età cantare cose così forti: un merito in più di Stephen Malkmus.

I pezzi migliori sono Cast Off, la sognante Middle America e l’energica Shiggy; convincono meno Brethren e Difficulties – Let Them Eat Vowels, ma non sono in ogni caso pezzi da buttare. Diciamo che, se Ty Segall canterà ancora nel 2028, ci aspettiamo di sentirlo cantare così: intenso, ma consapevole che il tempo è passato e che, accanto all’energia delle origini, devono trovare spazio anche riflessioni più profonde sulla società e su quello che non va.

In conclusione, “Sparkle Hard” non è un LP che cambierà i destini del rock; del resto, Malkmus ne ha già prodotti almeno un paio con i Pavement, basti citare “Slanted, Enchanted” oppure “Crooked Rain, Crooked Rain”. Allo stesso tempo, però, si sentiva nel mercato la necessità che vedesse la luce un disco indie rock impegnato. Ben fatto, Stephen.

Voto finale: 8.

Natalie Prass, “The Future And The Past”

natalie prass

Il secondo album, si sa, è spesso la prova più difficile per un artista, specialmente dopo un buon lavoro d’esordio. Natalie Prass, in effetti, non ha dato alla vita “The Future And The Past” senza problemi: a fine 2016 le canzoni erano già pronte, però l’elezione di Donald Trump l’ha così scioccata che si è trovata costretta a riscrivere gran parte dei testi.

Musicalmente, rispetto all’omonimo “Natalie Prass” del 2015, le cose cambiano leggermente: mentre il primo suo CD eccelleva nelle strumentazioni barocche, adesso Natalie canta spesso su basi molto anni ’80, che richiamano Prince e i Police. Insomma, il riferimento al passato evocato nel titolo trova una soluzione; e il futuro?

Effettivamente, più che guardare al futuro, il disco è molto adatto al presente: in Sisters la Prass chiama le donne a raccolta per resistere al presidente più maschilista della storia. In Ship Go Down, il riferimento della metafora “I’ve always felt the rain, but now a hurricane is pouring on me” è evidente.

I brani migliori di un disco generalmente riuscito sono le iniziali Oh My e Short Court Style, molto danzerecce rispetto al disco d’esordio; la trascinante Ship Go Down; e Sisters. Meno convincente la monotona Hot For The Mountain e superfluo il breve intermezzo Interlude: Your Fire. Come già anticipato, tuttavia, pur non parlando di un capolavoro, Natalie Prass si conferma sostanzialmente ai livelli dell’omonimo esordio del 2015. Esame secondo album superato, dunque.

Voto finale: 7,5.

The Carters, “EVERYTHING IS LOVE”

the carters

Il nome del duo autore di “EVERYTHING IS LOVE” può trarre in inganno: chi saranno mai questi Carters? Ebbene, stiamo parlando della coppia più celebre e potente della musica nera (ma forse di tutta la musica): Jay-Z e Beyoncé. I due hanno infatti realizzato questo album collaborativo a compimento della crisi e della successiva riconciliazione che li ha visti protagonisti negli scorsi anni. Il CD è parte di una trilogia di cui fanno parte anche gli acclamati “Lemonade” e “4:44”, in cui Beyoncé e Jay-Z riflettevano soprattutto sulle rispettive responsabilità. Non è dunque un caso se l’album della definitiva riconciliazione si intitola “EVERYTHING IS LOVE”. In APESHIT Jay-Z trova peraltro anche il tempo di prendere in giro i suoi colleghi dell’industria discografica, sia perché su 8 nomination ai Grammy dello scorso anno “4:44” non ha vinto nulla, sia per non averlo difeso nella causa che la NFL ha intestato contro di lui per aver rifiutato di esibirsi al Super Bowl dopo aver dato la sua parola, per presunte beghe legate al compenso pattuito (“I said no to the Super Bowl: you need me, I don’t need you. Every night we in the end zone, tell the NFL we in stadiums too… Tell the Grammy’s fuck that 0 for 8 shit”).

Musicalmente, il disco è un perfetto incrocio fra lo stile dei due: abbiamo infatti tracce prettamente pop (la bella SUMMER e HEARD ABOUT US) e tracce che richiamano il rap old style di Jay-Z (713). Allo stesso tempo, tuttavia, la coppia ha una volta di più mostrato il suo talento: notiamo infatti tracce R&B e addirittura trap (FRIENDS e APESHIT, in cui non è un caso che collaborino anche Quavo e Offset dei Migos). Oltre a questi due celeberrimi artisti, notiamo anche comparsate di Ty Dolla $ign e Pharrell Williams: insomma, ospiti non banali.

Tra i brani migliori abbiamo SUMMER e APESHIT; convince invece poco NICE, ma è l’unico pezzo debole in un album per il resto apprezzabile, in cui la rivelazione del travaglio interiore che affligge anche le coppie più famose e ricche è un valore aggiunto non da poco. In generale, dunque, è ovvio che Bey e Jay non parlano per tutti, nondimeno i due sembrano finalmente sereni e pronti a riprendere la vita assieme. Valga come manifesto del CD questa frase tratta da LOVEHAPPY: “we came and we saw and we conquered it all”. Beh, non saranno modesti, ma il talento e la spavalderia certo non gli mancano.

Voto finale: 7,5.

Deerhunter, “Double Dream Of Spring”

deerhunter

Questo lavoro dei Deerhunter è molto particolare, sia come struttura che come genesi: si tratta infatti di una cassetta (!) distribuita ai concerti della band statunitense e prodotta in sole 300 copie (!!), quindi un pezzo da collezionisti fatto e finito. Dicevamo che anche la struttura dell’album è bizzarra: abbiamo infatti la prima parte completamente strumentale, mentre le ultime cinque tracce contengono anche la voce del frontman Bradford Cox.

Musicalmente, “Double Dream Of Spring” sembra raccogliere i pezzi dei Deerhunter più abbozzati e liberi da costrizioni: si alternano infatti brevissimi intermezzi (Clorox Creek Chorus) a lunghissime meditazioni krautrock (Dial’s Metal Patterns). Nella seconda parte il lavoro si fa più coeso: spicca in particolare la delicata chiusura Serenity 1919 (Ives), che riprende un’opera del compositore Charles Ives. Citazioni musicalmente colte abbondano anche in Faulkner’s Dance, dedicata al celebre scrittore: troviamo tracce di Stereolab e Can ben piazzate nel corso del brano.

In generale, quindi, possiamo ritrovare influenze di svariati album passati dei Deerhunter: da “Cryptograms” (2007) a “Halcyon Digest” (2010), passando per “Weird Era Cont.” (2008). Insomma, un caleidoscopio sonoro ricco, certo perfettibile ma che denota ancora grande voglia di sperimentare da parte di un gruppo attivo da quasi vent’anni. Aspettiamo con trepidazione il prossimo album vero e proprio del gruppo, in uscita quest’anno e con il titolo provvisorio “Why Hasn’t Everything Already Disappeared?”, per capire meglio dove tutto ciò li avrà portati, certi tuttavia che Cox e compagni resteranno alfieri di un indie rock tanto fragile quanto superbo nei suoi momenti migliori.

Voto finale: 7.

Recap: luglio 2017

Estate, tempo di mare e tormentoni. Tuttavia, anche la musica meno commerciale non si ferma e noi di A-Rock, come sempre nei nostri Recap, offriamo una sintesi delle nuove uscite. Luglio, oltre al nuovo CD degli Arcade Fire, già recensito, ha visto il ritorno di Lana Del Rey, dei Waxahatchee, di Jay-Z, del vulcanico Tyler, The Creator, di Calvin Harris, dei Beach House e dei Broken Social Scene.

Waxahatchee, “Out In The Storm”

waxahatchee

Il quarto CD del progetto Waxahatchee, guidato dalla talentuosa Katie Crutchfield e dalla sorella gemella Allison, è il suo lavoro più riuscito: 10 tracce e 32 minuti di puro indie rock, indirizzato a tutti gli amanti del genere e a coloro che volessero farsene una prima idea: l’indie rock viene spesso evocato a sproposito per artisti che tutto sono meno che indie e la cui qualità artistica è discutibile.

Tutto ciò non vale per Waxahatchee: “Out In The Storm” è un LP bellissimo, con brani riuscitissimi come l’iniziale Never Been Wrong e Silver, che ricordano gli Strokes e gli Arcade Fire di “The Suburbs”; da non sottovalutare anche i pezzi più raccolti del CD, come Recite Remorse e A Little More. Ottime, infine, Brass Beam e No Question, che sarebbero highlights in molti album rock di artisti teoricamente più quotati. In generale, dunque, Crutchfield e compagni arrivano a comporre il coronamento di una carriera in costante crescita: partiti come artisti lo-fi, la produzione e la cura dei dettagli si sono via via affinate, fino ad arrivare a risultati quasi perfetti in questo disco.

Liricamente, il CD è un tipico breakup album, di quelli che gli artisti compongono sempre più di recente: basti pensare a Ryan Adams e Dirty Projectors, solo per restare nel 2017. Karen Crutchfield canta difatti “everyone will hear me complain… everyone will pity my pain”; il verso forse più drammatico è però “I will unravel when no one sees what I see”. Insomma, sorprende l’abilità della Crutchfield di fondere inni spesso trascinanti con tematiche così delicate e tristi per lei.

L’indie, territorio considerato prevalentemente (se non solamente) maschile fino a pochi anni fa, con interpreti come Strokes, Franz Ferdinand e Bloc Party (tutti i componenti di questi gruppi erano uomini, solo recentemente i BP hanno ingaggiato una batterista donna), ha riscoperto ultimamente l’altro sesso, con interpreti giovani e ispirate come Vagabond, Jay Som e Waxahatchee, senza scordarsi Courtney Barnett e Angel Olsen. Una necessaria rinfrescata ad un genere che pareva moribondo, ma che negli ultimi due-tre anni sembra essersi rivitalizzato. E Waxahatchee è un progetto fondamentale per la rinascita dell’indie rock, come testimoniato una volta di più con questo splendido “Out In The Storm”.

Voto finale: 8,5.

Lana Del Rey, “Lust For Life”

lust for life

Il quinto album della popstar Lana Del Rey, “Lust For Life”, si apre subito con una novità: nella cover Lana sorride, lei che fino a qualche tempo fa era presa in giro per i suoi testi tragici e la tristezza che le sue canzoni emanavano. Tuttavia, non si pensi che “Lust For Life” sia un CD allegro: cadremmo in un errore madornale. Lana mantiene il caratteristico spleen, cercando però di ampliare la propria palette sonora e ingaggiando ospiti di tutto rispetto.

Tra i singoli utilizzati per promuovere il disco, infatti, troviamo delle collaborazioni con The Weeknd (la bella title track) e con A$AP Rocky (le meno riuscite Summer Bummer e Groupie Love). Oltre a questi due artisti abbiamo dei featuring anche con il figlio di John Lennon, Sean, Playboi Carti e Stevie Nicks. È da sottolineare come, a parte la title track, queste tracce siano tra le più deboli dell’album: sia le due con A$AP Rocky che Tomorrow Never Came con Sean Lennon Ono (chiaro riferimento alla celeberrima Tomorrow Never Knows dei Beatles) che Beautiful People Beautiful Problems con Stevie Nicks non convincono proprio. Meglio la Lana solista, quindi.

Ne abbiamo la dimostrazione nelle belle Love, Cherry e Get Free, che chiude il disco quasi con accenni di dream pop. Una caratteristica di “Lust For Life”, infatti, è che Lana amplia notevolmente il numero di generi affrontati: dal pop dolente all’R&B, fino al country e appunto al dream pop. Tutto questo fa molto ben sperare per il futuro della carriera della signorina Elizabeth Woolridge Grant, vero nome di Lana: se saprà fondere adeguatamente tutti questi ingredienti, il prossimo lavoro potrebbe davvero ridefinire la musica pop, un po’ quello che Lorde ha fatto quest’anno con l’eccellente “Melodrama”.

Menzione finale per la bella voce di Lana, asset fondamentale della popstar, sfruttata a dovere lungo tutto il CD e specialmente in Heroin e God Bless America – And All The Beautiful Women In It, non a caso fra le migliori canzoni di “Lust For Life”. È una voce che sa trasmettere sofferenza e sogno, che si sposa benissimo con il pop raffinato e melanconico di Lana. La collaborazione con Abel Tesfaye aka The Weeknd è un’altra prova di tutto ciò.

In conclusione, “Lust For Life” è il più bel CD nella carriera di Lana Del Rey: un’artista costantemente cresciuta, sia artisticamente che come seguito popolare. Peccato che “Lust For Life” sia composto da 16 canzoni per 72 minuti di durata: con due-tre canzoni e dieci minuti di riempitivo in meno avremmo avuto un mezzo capolavoro. Così il disco è “solamente” buono, ma il talento di Lana ci fa ben sperare per il prossimo futuro.

Voto finale: 8.

Broken Social Scene, “Hug Of Thunder”

Hug-Of-Thunder

Dopo 7 anni, il ritorno dei canadesi Broken Social Scene rappresenta un ottimo momento per tornare ad ascoltare musica inedita da parte di uno dei gruppi indie rock più amati degli ultimi 15 anni. Il quinto album del collettivo canadese è un distillato di tutte le loro migliori qualità: forte base ritmica, voci soffuse, atmosfere quasi shoegaze.

Il ritorno di Leslie Feist segna il ritorno di uno dei membri di maggior successo al di fuori del gruppo e, contemporaneamente, un’iniezione di adrenalina pura nel sound della band: prova ne sia Halfway Home, il primo singolo utilizzato per promuovere il CD. Tutto gira bene, specialmente nella prima parte dell’album, con brani potenti e riusciti come la già citata Halfway Home, la vibrante Protest Song e la magnifica Vanity Pail Kids.

La seconda parte del disco è più raccolta ed intimista, facendoci scoprire il lato più pop dei Broken Social Scene: i migliori pezzi sono Towers And Masons e Please Take Me With You. Un po’ monotona invece Gonna Get Better. Questo passo falso viene però subito compensato dall’epica canzone finale, Mouth Guards Of The Apocalypse, che chiude degnamente un ottimo CD.

In conclusione, la band canadese non introduce radicali cambiamenti nel sound che ne ha fatto la fortuna in passato, come era facile aspettarsi. Tuttavia, “Hug Of Thunder” segna il ritorno di un altro amatissimo gruppo della scena indie rock, in un anno trionfale per gli amanti del genere: Spoon, Phoenix, Arcade Fire e Broken Social Scene sono tornati con lavori molto interessanti e degni delle pesanti eredità che i rispettivi gruppi possiedono. Tutto aspettando LCD Soundsystem e, forse, Arctic Monkeys… Bentornati, Broken Social Scene.

Voto finale: 8.

Jay-Z, “4:44”

jay z

“4:44” non è il miglior CD di Shawn Carter, meglio noto come Jay-Z, marito di Beyoncé, produttore apprezzato e quasi miliardario. Il momento più brillante nella carriera di Jay-Z è coinciso infatti con “Reasonable Doubt” e il classico “The Blueprint”. Tuttavia, per la prima volta i testi di Jay-Z sono profondamente personali, concentrati su temi come il tradimento, la famiglia, il lascito artistico… Insomma, possiamo considerarlo la risposta a quel “Lemonade” della moglie Beyoncé, in cui lei denunciava i tradimenti del marito? Non del tutto.

Se infatti è vero che Jay-Z parla apertamente di tutto ciò nella title track e in Family Feud, è anche vero che i temi affrontati sono vari, come già accennato in precedenza. Musicalmente, il CD riporta alla mente il rap abbastanza classico dei primi dischi di mister Carter: molto bella Smile (con un intervento della madre Gloria Carter in cui lei confessa la propria omosessualità) e interessanti le due tracce iniziali, Kill Jay-Z e The Story Of O.J.; i temi trattati sono facilmente intuibili dai titoli. Peccato che il CD perda mordente nella parte finale, dove i pezzi si fanno più noiosi: ne sono esempio 4:44 e Family Feud.

In generale, tuttavia, “4:44” è un convincente ritorno alla musica cantata per Jay-Z: considerato che i suoi ultimi lavori solisti avevano deluso critica e pubblico, questo è già un ottimo risultato. “4:44” è il CD perfetto per gli amanti dell’hip hop classico, 10 tracce dirette e complessivamente gradevoli.

Voto finale: 7,5.

Tyler, The Creator, “Flower Boy”

flower boy

A 26 anni, con già tre album ed un mixtape alle spalle, facendo parte del collettivo rap Odd Future (i cui passati membri includono Frank Ocean ed Earl Sweatshirt, fra gli altri), la carriera musicale di Tyler, The Creator è già ben avviata. Tuttavia, Tyler è famoso non solo per i suoi CD: molte controversie sono nate dai suoi commenti su donne ed omosessuali, che in passato denotavano misoginia e omofobia evidenti. Non una persona amabile, dunque: addirittura, l’Australia lo ha bandito per sempre proprio a causa di queste frasi!

Musicalmente parlando, Tyler ha sempre denotato una creatività vulcanica, con album lunghi e complessi, spesso anche troppo (basti pensare al mediocre “Cherry Bomb” del 2015). I testi erano, come già detto, pieni di riferimenti non carini a gay e donne, ma anche alle sue insicurezze e ansie giovanili. Questo “Flower Boy”, quarto LP della sua produzione, mantiene la bussola sul rap sperimentale e ardito tipico di Tyler, The Creator; tuttavia, liricamente contiene novità importanti, quasi a scusarsi dei suoi passati comportamenti.

Gli ospiti presenti nel disco contribuiscono a renderlo davvero interessante: Frank Ocean, Pharrell Williams, Corinne Bailey Rae, Lil Wayne, A$AP Rocky e Jaden Smith (figlio di Will) non sono nomi banali per la scena black contemporanea. In particolare, si rimane piacevolmente colpiti da pezzi come Where This Flower Blooms, con la preziosa collaborazione di Frank Ocean; le dolci See You Again e Garden Shed; e 911/Mr Lonely, ancora con Frank Ocean. Meno convincenti Who Dat Boy e Pothole, ma il risultato complessivo non ne viene troppo danneggiato.

In conclusione, questo è senza dubbio il miglior album pubblicato a nome Tyler, The Creator: vedremo se sarà un punto di arrivo oppure una nuova partenza per una seconda parte di carriera apprezzata sia dalla critica che dal pubblico e, finalmente, priva di futili polemiche e frasi insultanti per qualsivoglia categoria e classe. Tyler non ne ha bisogno per dimostrare la sua rilevanza nel panorama rap.

Voto finale: 7,5.

Beach House, “B-Sides And Rarities”

BeachHouse_BeachSides

Dopo la doppietta del 2015 di “Depression Cherry” e “Thank Your Lucky Stars”, i Beach House, beniamini del dream pop, si sono legittimamente presi una pausa per promuovere in maniera adeguata i CD e riflettere su come andare avanti nel loro percorso musicale. Quest’uscita, che raccoglie b-sides e rarità del duo, è un utile strumento per ricordare a tutti una cosa: anche nei brani apparentemente meno riusciti, i Beach House suonano immancabilmente come loro stessi.

Cosa intendiamo dire? Se siete fan dei Beach House e del dream pop, saprete che spesso ci troviamo di fronte a brani ballabili, ma lenti; eterei, ma mai inutilmente virtuosi. Ebbene, i Beach House sono la quintessenza del dream pop, non a caso sono fra i più amati gruppi di questo particolare genere musicale. Prova ne sia il successo di critica e pubblico dei loro due album migliori, gli splendidi “Teen Dream” del 2010 e “Bloom” del 2012.

Anche “B-Sides And Rarities”, come già accennato, suona come un disco tipicamente Beach House: prova ne sia la bella Chariot, ancora inedita prima dell’uscita di questo CD. Bello anche scoprire l’evoluzione di molti fra i brani più amati del gruppo: ad esempio, Norway e Used To Be ci vengono presentate nella loro prima versione, molto più scarna e meno trascinante di quanto avremmo poi trovato nei dischi del gruppo. Addirittura, Rain In Numbers era una traccia nascosta all’interno dell’esordio discografico dei Beach House e Wherever You Go lo era in “Bloom”!

Insomma, non un LP perfetto, come era facile aspettarsi, ma senza dubbio un’uscita apprezzabile per tutti i fans della band e del dream pop, o anche semplicemente per coloro che stanno scoprendo solo oggi i Beach House.

Voto finale: 7.

Calvin Harris, “Funk Wav Bounces Vol.1”

calvin harris

Il quinto album del famoso DJ Calvin Harris è un trionfo per gli amanti della dance da spiaggia e dell’elettronica mainstream: con un parco ospiti sterminato e ritmi accattivanti, Harris riesce a comporre il suo CD più ambizioso e riuscito. Oltre all’elettronica, infatti, troviamo abbondanti tracce di hip hop e funk: un cocktail di generi davvero esplosivo.

Parlando degli ospiti presenti in “Funk Wav Bounces Vol.1”, abbiamo alcuni fra i nomi più importanti del panorama musicale contemporaneo: Frank Ocean, Migos, Ariana Grande, Katy Perry, Nicky Minaj, Snoop Dogg, Pharrell Williams, John Legend, Young Thug, Future e Travis Scott, solo per ricordare i più conosciuti. Non si deve però pensare che siano solo buoni per far parlare del disco, senza un’effettiva rilevanza per il risultato finale; per esempio, Frank Ocean rende Slide davvero interessante, ma non vale solo per lui. Ad esempio, Heatstroke senza Pharrell perderebbe moltissimo.

Tra i pezzi migliori abbiamo, oltre alle già menzionate Slide e Heatstroke, anche Feels; deludono invece Rollin e Skrt On Me, troppo commerciali e scontate. Convincente la conclusiva Hard To Love, con linea di basso prepotente e la voce di Jessie Reyez che ricorda vagamente Lorde.

In conclusione, album più estivo di questo, nel 2017, non è dato trovarne: fino a settembre rappresenterà un ottimo passatempo in spiaggia e il weekend a casa, quando la voglia di rilassarsi e divertirsi avranno la meglio.

Voto finale: 7.