Rising: Yung Kayo & Yeule
Quest’oggi nella rubrica Rising affrontiamo due artisti molto interessanti. Da un lato abbiamo Yung Kayo, giovane rapper protegé di Young Thug; dall’altro Yeule, un volto nuovo nel mondo del pop più d’avanguardia. Buona lettura!
Yeule, “Glitch Princess”
Il secondo album dell’artista nata a Singapore come Natasha Yelin Chang, successivamente trasferitasi a Londra e diventata non-binaria col nome di Nat Cmiel, è un ottimo CD che si inserisce sulla strada già aperta da artisti visionari come la compianta SOPHIE e Arca. Nulla di radicale, quindi, ma senza dubbio un prodotto art pop di qualità.
Yeule è una figura complessa: da un lato abbiamo un artista capace di scrivere brani pop accattivanti come Don’t Be So Hard On Your Own Beauty, dall’altro lo sperimentatore che inizia il lavoro con l’ostica My Name Is Nat Cmiel. Questa ambivalenza permea tutto il CD, che alterna momenti musicalmente più euforici (Too Dead Inside) ad altri più difficili (Fragments), spesso su testi altrettanto strani.
In Friendly Machine, ad esempio, Yeule proclama: “Always want but never need, I don’t have an identity I can feed”; invece Don’t Be So Hard On Your Own Beauty apre un varco di luce: “the sullen look on your face tells me you see something in me more pure than this dirty”. Tuttavia, l’ammissione più candida avviene nell’apertura del lavoro, in cui Yeule ci appare non come un cyborg, bensì una persona come tutti noi: “I like pretty textures in sound, I like the way some music makes me feel, I like making up my own worlds” (My Name Is Nat Cmiel).
In conclusione, “Glitch Princess” è un secondo album che alza decisamente il livello rispetto all’esordio “Serotonin II” (2019), ancora acerbo. Il pop futurista di Yeule a tratti è irresistibile; quando imparerà a mettere da parte gli sperimentalismi più fini a sé stessi (si senta Fragments a tal riguardo), avremo di fronte un vero grande progetto. Ma già così abbiamo un talento fuori dal comune.
Voto finale: 8.
Yung Kayo, “DFTK”
Nell’esordio del giovane rapper, originario di Washington e ora stabilitosi a Los Angeles, accade una cosa che non è comune nel mondo hip hop: nei testi non succede nulla o quasi. Certo, nella trap specialmente abbiamo spesso canzoni che sono inni alle case di moda o alla vita da strada, ma Yung Kayo in questo è ancora più radicale: le basi sono sempre vive, spesso imprevedibili, ma liricamente c’è ancora molto da lavorare.
Questo non è per forza un peccato, a patto che si ascolti “DFTK” unicamente per rilassarsi e divertirsi, non per studiare la visione del mondo di Yung Kayo. In alcuni tratti abbiamo liriche toccanti, ad esempio in no sense (“I had to look at my neck, the chain is so heavy it’s holding me down”) e in believer (“We was supposed to link up, it was supposed to be us”), ma i risultati sono complessivamente mediocri.
Il CD, nella sua brevità (appena 35 minuti), si distanzia ulteriormente dal rap moderno, spesso caratterizzato da durate fuori controllo: circostanza che aiuta il replay value ed evita il filler tipico dei lavori più lunghi. I migliori brani sono le potenti YEET e believer, mentre deludono un po’ le prevedibili freak e over.
In generale, l’estetica di Yung Kayo è riconducibile solo in parte a quella del mentore Young Thug: se è vero che la sua trap è caratterizzata da esperimenti vocali non banali, il tono quasi psichedelico di brani come no sense e down (one kount) ci fa accostare il giovane rapper a Playboy Carti, mentre la trap muscolare di YEET e it’s a monday ricorda Denzel Curry.
In conclusione, “DFTK” è un CD interessante, che ci fa intravedere il talento di Yung Kayo, ma che non appare ancora il lavoro definitivo del rapper statunitense. Aspettiamo la sua prossima prova per farci un’idea più approfondita della questione.
Voto finale: 7,5.